I tifosi, la fanbase, incidono nello sport, soprattutto a livello europeo, un po’ meno negli Stati Uniti ma dei leader di una comunità debbono comunque badare all’umore delle folle, soprattutto in momenti critici.
E quello dei Miami Heat, sebbene sempre di sport si stia parlando, assomiglia a un momento critico. Con un blitz di mercato i Milwaukee Bucks si sono assicurati Damian Lillard, la superstar che aveva indicato solo Miami come destinazione gradita per lasciare Portland e invece – mal comune mezzo gaudio – se ne andrà nel Wisconsin a giocare con un due volte MVP come Giannis Antetokounmpo in una squadra favorita d’obbligo per il prossimo titolo NBA.
Gli Heat, al netto dei rumors durati mesi, non hanno mai toccato palla nelle trattative, non hanno mai avuto una chance vera di fare contento Lillard. Un po’ per il puntiglio anche rischioso di Joe Cronin, Gm dei Blazers che non ha voluto “calare le braghe”, con rispetto parlando, e accettare le offerte al ribasso di Miami. I contratti di Kyle Lowry e Duncan Robinson, Tyler Herro, forse Nikola Jovic o Jaime Jaquez Jr, non Caleb Martin a quanto pare, e due prime scelte al draft (molto) future) e un diritto di pick swap, ovvero di scambiarsi una scelta al primo giro in un futuro draft.
I Bucks e i Phoenix Suns hanno offerto ai Blazers la possibilità di scaricare anche il contratto di Jusuf Nurkic, spedito in Arizona in cambio di Deandre Ayton che con i suoi 25 anni ben si sposa con gli altri giovani a roster Scoot Henderson, Anfernee Simons, Shaedon Sharpe e Kris Murray, e con Jerami Grant per qualità difensive. Portland ha ceduto nella trade anche Nassir Little, il cui ruolo sarebbe diminuito con la conferma in estate di Matisse Thybulle, e cedendo Jrue Holiday verso una terza squadra (Celtics? Sixers? Warriors?) potrà lucrare almeno un’altra prima scelta futura.
A Miami è restato il cerino in mano, e gli Heat si trovano nella situazione paradossale oggi di essere una squadra che ha giocato due finali NBA in 4 anni, e che sta comunque seduta su una polveriera. Perché?
Jimmy Butler voleva Damian Lillard e lo aveva fatto capire chiaramente. Prima che Dame chiedesse la trade, sebbene fosse nell’aria, gli Heat avevano ceduto a Cleveland (!) via sign and trade Max Strus, potenziale parziale contropartita tecnica che avrebbe potuto allettare Portland, restando così senza munizioni. Herro non avrebbe mai potuto essere la carta decisiva per via del suo ruolo, non sappiamo se i Blazers abbiano provocato Miami chiedendo in cambio Bam Adebayo sebbene chi scrive ritenga che gli Heat, nel caso, avrebbero potuto quanto meno esplorare la cosa coinvolgendo altre squadre.
E’ andata male per Miami che ora parte almeno sulla carta dietro a Milwaukee, Boston, Cleveland forse New York Knicks e Brooklyn Nets e forse anche ai Philadelphia 76ers qualora dovesse davvero arrivare Jrue Holiday. Tyler Herro era stato accostato a almeno tre-quattro squadre (Magic, Spurs, Nets) negli scenari di trade estesa con Portland e ora si ritrova nel ruolo di colui che dovrà diventare la terza star della squadra. Va inoltre ricordato che gli Heat hanno si giocato le Finals lo scorso anno, ma partendo dalla testa di serie numero 8, e che Herro i playoffs non li ha neppure giocati per infortunio.
Miami non aveva mai sfidato prima la pazienza di Butler, cui in passato è capitato di perderla come sanno a Philadelphia e a Minneapolis, ma questa volta potrebbe averlo fatto. Jimmy in prima persona (a proposito di tampering…) si era esposto in estate mimando il celebre gesto dell’orologio di Damian Lillard in più di un’occasione, Bam Adebayo pur con circospezione aveva parlato della trade come di una cosa molto probabile. E invece da oggi Lillard, uno dei primi 10-15 giocatori della NBA, è a roster di una rivale diretta.
Sulle ali dell’emozione intanto, la fanbase di cui sopra si è rivoltata contro il presidentissimo Pat Riley. Si tratta di reazioni social per carità, ma che fanno il loro rumore, c’è chi invoca la pensione per il leggendario ex coach oggi 77enne, c’è chi beffardamente celebra Cronin, il Gm di Portland che lo avrebbe giocato, c’è chi lo accusa di essere ormai un vecchio distratto e chi, più concretamente, di aver perso in anni consecutivi le chance di portare a Miami Giannis Antetokounmpo, Bradley Beal, Donovan Mitchell, Kevin Durant e ora Damian Lillard.
A Miami, Riley è il Parmenide venerando e terribile, sempre al di sopra di ogni critica e che gode di fiducia incondizionata, e come potrebbe essere altrimenti? Questa è però almeno la terza volta in cui i suoi Heat “muoiono” di immobilismo e perdono l’opportunità più concreta di aggiungere una star di prima grandezza a roster. Lo sviluppo e la crescita di Herro, Jaquez Jr e Jovic, che avranno tanto spazio a disposizione, farà in buona sostanza le fortune della stagione degli Heat, e sarà solo il campo a parlare per tutti.
Oggi però, criticare Pat Riley a Miami non ha mai avuto così tanto senso.