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L’All-Star Game è brutto? Si, ma guardate che numeri!

di Michele Gibin
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L’All-Star Game è brutto? Si, ma che numeri.

Che l’All-Star Weekend NBA in generale sia ormai uno show con diversi momenti difficilmente tollerabili, ai limiti del trash (lo Skills Challenge che pare una brutta copia di Giochi senza Frontiere, senza le fontane d’acqua e senza il Portogallo, ad esempio), nessuno, neppure Adam Silver se potesse parlare liberamente, lo negherebbe. 

Che la partita della domenica, l’All-Star Game vero e proprio, sia ormai una gara delle schiacciate informale e senza alcun impegno lo ammettono senza alcuna remora anche i protagonisti, come Jaylen Brown o coach Michale Malone hanno fatto a latere della partita di Salt Lake City. Per quanto riguarda il Rising Stars Challenge, già Rookie Challenge, quello è sempre stato inguardabile e il problema non si pone.

Ora, le considerazioni sulla qualità dello spettacolo, infima, sono tutte sacrosante e nella maggior parte dei casi corrette.

Al tempo stesso, ha ragione chi è più indulgente e pensa che anche i giocatori milionari si meritino una settimana di stacco a metà stagione, una stagione lunga 82 partite e fatta di viaggi, sessioni media, infortuni, trade e pressioni, “scrutiny” come si chiama in inglese. E rischia di passare per “anima bella” chi invoca riforme come la famigerata sfida “USA vs Resto del mondo” come alternativa, o più realista del re chi pensa che all’All-Star Game vada legato il possesso del fattore campo alle NBA Finals per la squadra che vince (il che significherebbe tornare a Est verso Ovest, formato a sua volta frusto): che cosa le giochiamo a fare esattamente 82 partite, allora?

Del possibile premio in denaro per la squadra che vince è meglio tacere. Chi scrive è ad esempio un sostenitore, seppur cauto, del torneo di metà stagione sul modello della Commissioner’s Cup che si gioca nella WNBA, che sarebbe quanto meno curioso da vedere applicato alla NBA (ci sono i giocatori da convincere…) ma che non può sostituire l’All-Star Game.

Perché? Anche l’edizione 2023 di Salt Lake City, così brutta a dirsi, ha prodotto numeri mostruosi sugli account social della NBA:

  • I video postati sui social e piattaforme come l’App NBA hanno generato un miliardo e settecentocinquanta milioni di views
  • lo Slam Dunk Contest 2023 vinto da Mac McClung, giocatore di G-League e dunker semi-professionista di fatto, è stato il più visto di sempre. Anche più di quello del 2000 di Vince Carter (la preistoria) e di quelli delle baracconate di Dwight Howard e Nate Robinson, per citare altri esempi
  • l’account Instagram della NBA, che era già esploso in questa stagione, durante il weekend dell’All-Star Game è stato l’account business più visitato al mondo

Numeri che la NBA guarda e celebra, con la consapevolezza che una riforma sostanziale del suo All-Star Weekend l’ha già applicata appena 4 anni fa, con il draft, l’Elam Ending, lo Skills Challenge ipertrofico e l’abbinamento dell’evento a cause meritorie di beneficienza, ben promosso. Una riforma che produce risultati, e quindi che funziona.

Funziona se preso però nel suo insieme. Sempre secondo i dati “auditel” come li avremmo chiamati tempo fa, se è vero che i numeri del weekend All-Star sono da record per interazioni social, lo stesso non vale per la partita della domenica. Per Sports Media Watch, l’All-Star Game di domenica scorsa è stato il meno visto in TV su TNT e TBS, con 4.59 milioni di telespettatori, in caduta rispetto a 2022 e 2021 che già non avevano fatto bene, per un crollo del 27%. Gli eventi del sabato hanno retto il confronto col passato recente ma anche qui si è registrato un calo, e il dato dei telespettatori è stato il peggiore degli ultimi 20 anni. Magra consolazione il successo del tremebondo Celebrity Game del venerdì, che però agli americani piace perché mette in campo (oddio) star TV, del web e di altri sport in una veste insolità.

Dati che confermano due trend già ben noti agli addetti ai lavori del basket NBA: gli ascolti TV sono in calo – e questo non è mai un bene – ma le interazioni socia sono esplose, e non è certo un caso se la lega da anni sta puntando sul secondo media, con Instagram, TikTok e la sua nuovissima App.

Resta da vedere se il presente formato dell’All-Star Weekend, al suo quarto anno come detto, supererà la prova del tempo o se il pubblico che segue la NBA, che è però ormai educato (purtoppo) a seguire highlights e reel piuttosto che a guardare le partite intere, si accorgerà del contenuto scadente dal punto di vista sportivo e agonistico che è ben celato dietro a dei costosissimi lustrini e pailettes.

Per ora non è così, e se sia un bene o un male lo dirà solo il tempo. Nell’attesa, vale sempre la regola del telecomando e della cattiva TV: se non ti interessa, non guardarlo o cambia canale.

Sempre che trovi qualcosa di meglio…

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