Il basket è una cosa da uomini

di Carmen Apadula

Il basket è una cosa da uomini.

Quante volte mi sono sentita dire questa frase, in quanto donna che segue e scrive di basket.

Spesso e volentieri ricevo messaggi sui social, magari allegati ai miei articoli, in cui mi viene detto che, in quanto donna, non posso seguire il basket (come se ci fosse un motivo valido a favore di tale argomentazione). Mi vengono fatte domande, quasi a testare quanto io sia preparata, perché è impossibile che una donna possa essere competente in tale ambito. C’è chi mi accusa di non capirne nulla solo perché sono in possesso di due cromosomi x, altri invece si complimentano, stupiti, dicendomi che sono brava “per essere una donna”.

Ed è qui che si apre una polemica su un tema che non è vecchio, ma vecchissimo. Sto parlando della presenza femminile nel giornalismo sportivo.

Nonostante lo sport sia oggi diffusissimo anche nel mondo femminile, la donna è ancora troppo lontana dall’essere un vero e proprio simbolo dello sport, da sempre associato ad una figura che possa essere il più virile e maschile possibile. Credo sia dunque interessante capire meglio la figura del giornalista al giorno d’oggi, e ancor di più cosa significhi essere una giornalista donna, che parla di sport, in Italia.

Purtroppo, la disparità di genere nelle redazioni giornalistiche (ma anche televisive e radiofoniche) è una questione irrisolta. E’ vero, il giornalismo televisivo sta andando incontro ad una forte femminilizzazione, ma l’elevata visibilità femminile equivale ad un potere minimo. E le redazioni continuano a pullulare di uomini.

Non che sia una colpa essere un uomo che parla di sport. Per carità. E’ solo una constatazione. E lo dimostrano i dati. In Europa e Nord America, le donne rappresentano mediamente il 10% della forza lavoro nel giornalismo sportivo.

Nonostante alcuni piccoli passi avanti rispetto al passato, e nonostante lo sport si stia diffondendo anche nel mondo femminile, le giornaliste donne continuano ad andare in contro ad alcune problematiche quali la mancanza di ruoli rilevanti o il paternalismo che, di conseguenza, non le fa andare oltre il ruolo di spalla degli altri colleghi maschi o le mette in mostra come fossero un oggetto da esibire. E, a fare da ciliegina sulla torta, c’è anche la mancanza di competenza di alcune “giornaliste”.

Che la presenza femminile non sia più un evento raro da osservare negli studi, non significa che l’obiettivo sia stato raggiunto. Perché il riconoscimento della professionalità e della competenza delle donne che lavorano in un settore maschile e maschilista (è il caso di dirlo), è ancora lontano dall’essere riconosciuto.  

Che sia in studio o fuori da un palazzetto non fa differenza. Il tifoso medio deve avere anche una bella donna da guardare. E, perché no, magari anche da deridere o umiliare dopo una partita. Ma che sia incompetente, attenzione. Perché una giornalista esperta si fa rispettare, una con poca esperienza rimane lì a balbettare e niente di più. 

Non è difficile vedere ragazze procaci e inesperte fare brutte figure in tv locali e non, spesso a conduttori uomini che gli si rivolgono con l’atteggiamento paternalistico di chi sta concedendo loro di dire qualcosa per pietà, in quello che è un contesto fatto di uomini, in cui puoi accedere solo se sei di bell’aspetto. Basta accendere la tv per rendersene conto. Le tv locali e non pullulano di ragazze bellissime ma inesperte, allo sbaraglio e a volte anche imbarazzanti, messe lì per fare un po’ di scena

E dire le cose come stanno non è fuori luogo o eccessivo. 

Dovremmo infatti domandarci perché, in un contesto come quello del giornalismo sportivo, vengono buttate avanti ragazze di bella presenza e poca sostanza, invece di conduttori più esperti e davvero appassionati

Mancano giornalisti sportivi da poter inviare sul campo? Assolutamente no.

E allora perché il giornalismo sportivo vuole la presenza femminile, nonostante la scarsa preparazione, sfruttandone l’avvenenza estetica? E perché tutto ciò è mortificante per le giornaliste sportive competenti? 

La domanda che dovremmo porci è che tipo di televisione vorremmo vedere e che tipo di ruolo vogliamo assegnare alle donne

Il giornalismo italiano è in crisi qualitativa. Soprattutto quello della carta stampata, che rincorre squallidamente le tendenze del momento pur di ottenere dei lettori. E questo lo sappiamo. Se poi si oscurano i diversi punti di vista dei veri professionisti, andiamo di male in peggio. E non è questione di supportare o meno tale lotta sociale

E’ quindi giunto il momento di affrontare il sessismo nel mondo del giornalismo sportivo. Ma da un altro punto di vista. Quello della meritocrazia

Il maschilismo esiste nel mondo dello sport. Inutile negarlo. Ma non dobbiamo andare a cercarlo nelle molestie che vengono mosse nei confronti delle giornaliste. Quella è piuttosto una squallida manifestazione di tutto ciò. Non è la causa, perché la causa sta altrove, ed è un qualcosa di molto più serio. 

Ora, in molti potrebbero tirare fuori il discorso della “parità di genere”, ma le pari opportunità in questo caso non centrano un bel niente. A centrare è invece qualcos’altro, e mi riferisco al patriarcato

Il settore del giornalismo sportivo non ha un target ben definito per quanto riguarda il pubblico, ma l’impostazione datagli in televisione è pensata per spettatori maschi. Ed è qui che diventa una “cosa da uomini”. E’ un caso abbastanza emblematico, perché dimostra come la parità sia intesa solo come una questione di immagine. E, per questo, la presenza delle donne è solo legata all’estetica, come dicevo prima. Il corpo femminile viene sfruttato per compiacere continuamente lo sguardo maschile

In molti potrebbero dire che la sensibilità riguardo alla questione femminile è cambiata. Ma, mi dispiace deludervi, il pregiudizio in base a cui le donne non siano in grado di competere con i propri colleghi maschi c’è ancora. E si presenta soprattutto quando si commenta e si giudica una partita o un evento sportivo. L’integrazione femminile in tale settore va quindi a sbattere contro lo stereotipo radicato in base a cui alle donne non freghi niente di sport e che, anche gli interessasse, sarebbero comunque delle incompetenti

L’aumento di donne che si avvicinano alla professione di giornalista, nasconde dunque la presenza di disuguaglianze sedimentate, che si nascondono dietro l’angolo ed escono all’improvviso. 

Se guardaste un qualsiasi format sportivo, vedreste quasi sempre la stessa tipologia di contenuto. Tralasciando la presenza di battute umoristiche di dubbio gusto, in studio o in collegamento potremo vedere tantissime figure femminili procaci e sorridenti, messe lì per essere date in pasto alla fantasia del tifoso medio. E non parliamo dei contenuti extra messi a disposizione da alcune piattaforme in streaming, dove il compito della “giornalista” è quello di intervistare un giocatore o allenatore. Ma, quello che non vi dicono, è che non vedrete un’intervista seria in cui si discute di sport. Verrete piuttosto immersi in un’atmosfera da tè delle cinque. Perché si sa, meglio lasciare la donna a fare la bella e brava presentatrice. Niente di più. 

Inoltre, queste giovani ragazze vengono affiancate a conduttori più esperti, che gli parlano con un tono di superiorità che urla “Ringraziami, ti sto facendo leggere i risultati”. E vogliamo parlare delle inquadrature, sempre più imbarazzanti? Concentrate a catturare le scollature e le curve, rendendo le donne degli strumenti per aumentare un po’ l’audience. 

Ma perché questo modus operandi è problematico? Ovviamente perché non rende giustizia alle donne, le ridicolizza, le sminuisce e non ne riconosce la professionalità. 

Per fare un esempio, prendiamo in considerazione un dettaglio molto rilevante. A partita finita, quando arriva il momento del commento tecnico, in studio ci sono solo uomini. Bene, cara “giornalista”, hai fatto la tua comparsa. Ti sei fatta vedere. Ma ora la parte importante, e cioè il commento tecnico, la lasciamo ai tuoi colleghi maschi. E’ pur sempre una “cosa da uomini” questa. 

Tremendo. 

L’oggettificazione della figura femminile è comunque una forma di molestia. Ed è nociva esattamente come un palpeggiamento o un commento non richiesto

I canali televisivi che si basano sul mettere in mostra corpi femminili sessualizzati, testimoniano quanto la mentalità patriarcale che c’è dietro sia frutto di una società marcia. Perché lo sport è per tutti, e non oggettifica.

Personalmente, da donna io stessa, credo che ogni donna dovrebbe essere libera di esprimersi come meglio crede, anche e soprattutto esteticamente, nell’ambito in cui si muove. Sempre con decenza e rispetto, aggiungerei. E già il fatto che io debba specificarlo fa capire molte cose

Il corpo diventa il mezzo più efficace per raggiungere uno scopo, che nel mondo del lavoro è sempre uno solo. Farsi conoscere e affermarsi nel proprio settore, qualunque esso sia. Il corpo viene quindi messo più (o anche solo) in risalto, in base alle doti richieste per svolgere un determinato lavoro. 

Ogni donna dovrebbe essere libera di esprimere la propria personalità, curando la sua estetica. E dovrebbe esserlo alla pari di un uomo. Dunque non parlerò di cosa sia giusto indossare o quanto sia giusto truccarsi per fare questo lavoro, perché non mi compete. Ma è importante capire che, quando l’aspetto esteriore è l’unica parte di noi che scegliamo di mettere in mostra, senza affinare le qualità e le doti che la professione di giornalista richiede, allora abbiamo un problema. E il mestiere del giornalista, soprattutto se sportivo, è un mestiere in continua evoluzione

E’ inutile negare che siamo chi mostriamo, e che diventiamo ciò che vogliamo ci caratterizzi agli occhi degli altri. Ci saranno sempre pareri contrastanti e discordanti, ma gli altri non possono pensare di noi ciò che non trasmettiamo

Ma, al giorno d’oggi, quanto è difficile per una donna competente entrare nel mondo del giornalismo sportivo

In realtà, la domanda da porsi non è questa. Chiediamoci piuttosto: una donna competente che vuole entrare nel mondo del giornalismo sportivo, quali compromessi deve accettare

Visto come tira il vento (e il lavoro), le giornaliste sportive ormai sanno che per realizzarsi in tale ambito, non basterà semplicemente essere competenti e preparate. E no, neanche essere raccomandate. Al giorno d’oggi bisogna essere seducenti quasi come se ci trovassimo ad un concorso di bellezza. Ed è per questo che molte ragazze diventano ossessionate dal loro aspetto fisico, o da come appaiono davanti alla telecamera. La competenza passa in secondo piano. Perché, c’è o non c’è, comunque non viene riconosciuta. Una donna deve sempre dimostrare e studiare di più

Ma le donne sanno fare il proprio mestiere, anche quando si tratta di sport. 

Il punto sta tutto lì. Non si tratta di costruire trasmissioni sportive da maschi, per maschi. Si tratta di andare oltre l’idea della donna-oggetto e di riconoscerne, finalmente, la preparazione. Insomma, non si arriva per caso a svolgere un lavoro senza tenacia e passione

Siamo in un era in cui domina il narcisismo, e l’immagine ha sempre più peso. Ma una presenza esteticamente apprezzabile non deve diventare motivo di discriminazione. Le donne competenti devono avere una possibilità, senza essere ostacolate anche dal pregiudizio che certe possibilità non si possano ricoprire a causa del desiderio di costruirsi una famiglia. Perché questo è un’altro problema. Le donne sono escluse dai ruoli di responsabilità, più rappresentate negli statuti precari, e più frequentemente nubili o senza figli rispetto ai colleghi uomini.

Nel giornalismo, l’apertura alle donne viene quindi eseguita in base a varie condizioni. Prima di tutto, bisogna mantenere una distinzione tra giornalisti e giornaliste, per differenziarne le pratiche. In secondo luogo, si passa ad una distribuzione gerarchica dei ruoli. Agli uomini assegnamo cronaca sportiva, competenza, tecnica, sport popolari e squadre principali. Per le donne? Quello che resta. E cioè molto poco. Di conseguenza, è impossibile ottenere lo stesso riconoscimento finanziario.

E questo sistema, sia chiaro, lo hanno accettato tutti, anche chi oggi ci si scaglia contro. Ma per denunciare una volta per tutte il sessismo nello sport, cerchiamo di essere seri e coerenti. Poniamoci domande. Cerchiamo di capire qual è il ruolo delle donne in questo ambito e quali ostacoli devono affrontare. Smettiamo di farci andare bene che un’inviata debba essere esteticamente perfetta. Perché è in questo modo che funziona. Tutti lo sanno, tutti lo accettano, e tutti lo sfruttano.

Dunque, per giungere ad una conclusione, il maschiocentrismo nel giornalismo sportivo è ancora presente. 

Ma, qualsiasi giovane donna voglia intraprendere questo lavoro, non deve farsi intimorire. Perché, se una donna deve faticare il triplo per ottenere rispetto e riconoscimenti, allora otterrà anche il triplo della soddisfazione, ad obiettivo raggiunto. 

Essere donna non dovrebbe essere un motivo per metterne in discussione le capacità. In nessun ambito, soprattutto lavorativo. 

Dovrebbe finire l’epoca delle donne umiliate e usate in modalità specchietti, mandate allo sbaraglio e costrette a recitare un ruolo che non gli appartiene, solo per accontentare il tifoso medio. Perché un palpeggiamento o un commento non richiesto sono una molestia. Ma una donna inesperta, piazzata in un programma sportivo solo per fare scena, è parte di una cultura molesta, che andrebbe estirpata in maniera irreversibile.

Non credete che ci sia una sorta di scetticismo nei confronti delle donne competenti che si approcciano ad un mondo prettamente maschile?

Che nello sport esista e resista il maschilismo è evidente e, purtroppo, anche normale. In un mondo che è sempre appartenuto agli uomini e, tutt’oggi, si alimenta dell’interesse soprattutto maschile, è naturale ci siano questi tipi di meccanismi. 

Ma il modo migliore per esorcizzarli non sta nel condannare al loro ogni piccolo cenno di molestia. Sta nel valorizzare il merito e non l’immagine. Sta nel scegliere giornaliste competenti, e non ragazze che intrattengano. 

Il successo di una donna in un campo considerato maschile fa paura, perché mette in discussione gli stereotipi su cui la cultura maschilista ha fondato le sue basi. E tale cultura maschilista ha un certo peso in una società patriarcale. Metterla in discussione significa quindi aprirsi ad un futuro diverso, e rinunciare a privilegi che sono stati esclusivi. 

Ma non credo di essere l’unica a pensarla così. È il caso di far sentire l’opinione delle donne che lavorano in questo settore. Perché le rivoluzioni iniziano sempre da una singola voce. E chi è di dovere, deve farle eco

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