Troppo spesso, dopo ave concluso la propria carriera, qualsiasi giocatore di qualsiasi sport viene additato come perdente perchè, nel suo palmares, non ci sono titoli. Eppure c’è chi riesce ad entrare nella leggenda dell’immaginario popolare grazie al suo innato talento. In NBA, l’esempio più lampante in tal senso, è rappresentato da un certo Tracy McGrady, uno a suo modo ha fatto storia della lega ed è entrato nel cuore dei tifosi grazie alle sue abilità, pur rimanendo a mani vuote dopo il ritiro.
E’ Bartow, comune della Florida, a dare i natali a Tracy Lamar McGrady Jr. Che avesse una marcia in più rispetto agli altri, lo si capiva guardandolo calpestare il parquet: Tracy è un atleta puro, una guardia di due metri con un ball handling degno di un vero playmaker e un tiro preciso, implacabile. Probabilmente, spinto dalle sue potenzialità ed un buona dose d’ambizione, decide di far subito il grande salto: salta dunque il college per dichiararsi eleggibile per il Draft NBA del 1997. Molti GM hanno il suo nome scritto sul taccuino, compreso Jerry Krause, dirigente dei Chicago Bulls letteralmente stregato dal 18enne. Krause subito si da da fare per intavolare una trade con gli allora Vancouver Grizzlies per avere la quarta scelta assoluta in cambio di Scottie Pippen, in modo da scalare le posizioni ed assicurarsi l’interessante prospetto. Tra McGrady e i Bulls si mette però di mezzo Michael Jordan che minaccia addirittura il ritiro se l’affare fosse andato in porto. Il tutto dunque salta e il giocatore alla fine viene scelto dai Toronto Raptors con la nona chiamata assoluta.
All’inizio, l’avventura tra i grandi non sembra ingranare, ma le sue qualità emergono giocando una bella fetta di minuti dalla panchina. Le cose iniziano nettamente a migliorare quando in Canada approda un tal Vince Carter, suo cugino di terzo grado: il suo minutaggio aumenta e le sue statistiche migliorano, senza contare che con il sopracitato Carter forma una delle coppie di esterni più interessanti e temibili nonostante la giovane età. Nel 2000 entrambi partecipano allo Slam Dunk Contest: Carter si aggiudica la gara, McGrady invece sale sul gradino più basso del podio dietro a Francis. Ma la consacrazione arriva con la prima e storica qualificazione ai playoff della franchigia canadese: l’avventura però finisce presto a causa dello sweep rifilato dai New York Knicks. E’ nell’estate dello stesso anno che McGrady diventa free agent. I Raptors vorrebbero confermarlo ma il giocatore, allo stesso tempo, vorrebbe stare più vicino alla sua cara e amata Florida: i Miami Heat, avendo Alonzo Mourning nel roster non hanno molto spazio salariale e così gli Orlando Magic fanno l’offerta giusta e lo convincono a vestire la casacca numero 1 appartenuta al suo idolo di sempre, Penny Hardaway.
McGrady approda così ad Orlando insieme all’altro grande colpo Grant Hill, pronto a formare uno dei tandem più devastanti dell’intera lega. Tutte le rosee aspettative però ricadono esclusivamente su Tracy a causa dei continui e logoranti guai fisici di Hill.
Manco a dirlo, la sventura del compagno fa la sua fortuna: la guardia esplode definitivamente, arrivando a conquistare il Most Improved Player nella stagione 2000-2001, venendo convocato all’All Star Game e trascinando da solo la squadra ai playoff, dove però il cammino si interrompe presto per mano degli Charlotte Hornets. L’annata successiva e praticamente una replica della sopracitata, con i Milwaukee Bucks che in postseason stroncano le ambizioni dei Magic. La classe di McGrady però viene sempre fuori, in un crescendo che non pare arrestarsi, come dimostra la stagione 2002-2003 dove, con ben 32.1 punti di media si afferma come miglior realizzatore della lega contribuendo all’accesso ai playoff (dopo aver conquistato l’ottava piazza nella stagione regolare). Di fronte stavolta ci sono gli arcigni Detroit Pistons.The Big Spleep (soprannominato così per la sua espressione che non sembra trasmettere allegria) ancora una volta, si carica tutto il peso della squadra sulle sue larghe spalle e, grazie al suo tocco di mano fatato porta i suoi avanti nella serie 3-1. Peccato che, a partire da quella stagione, le serie playoff si disputano al meglio delle sette gare: i Pistons rimettono in ordine le cose e, nonostante il fattore T- Mac, ribaltano la disputa a loro favore e accedono al secondo turno. Ancora una eliminazione al primo turno, ancora un’atroce e pungente delusione per i Magic e per McGrady, il cui feeling inizia pian piano ad attenuarsi. Il giocatore viene sommerso da un’ondata di critiche che contestano il suo scarso impegno durante le partite. Come se non bastasse, lo stesso non riesce più ad andare d’accordo con il GM John Weisbrod che in un battibaleno lo cede agli Houston Rockets in una trade coinvolti sette giocatori, tra cui Steve Francis.
Il passaggio in Texas di McGrady porta i Rockets a diventare una potenziale contender, vista la presenza sotto canestro del possente centro cinese Yao Ming. La squadra inizia a girare e, il 9 dicembre 2004, accade quello che per molti rappresenta la vera l’essenza di quello che è Tracy McGrady. Se Andy Warhol sosteneva che tutti avranno prima o poi i loro 15 minuti di celebrità, a Tracy bastano poco più di 35 secondi per conquistare la scena ed entrare nell’Olimpo del basket. In una di quelle che è rimasta alla storia come una delle migliori prestazioni individuali della NBA riesce a mettere a segno 13 punti, riuscendo a portare a casa una vittoria insperata contro i San Antonio Spurs. Semplicemente epocale.
La stagione passa in fretta e arrivano i playoff: al primo turno ci sono i Dallas Mavericks. Lo spartito del triste leitmotiv che stava percorrendo la sua carriera però non cambia: nonostante un vantaggio di 2-0 nella serie, McGrady e i Rockets vengono eliminati. Ma non è tutto. La sua predisposizione agli infortuni è direttamente proporzionale al suo smisurato talento. Salta mezza regular season 2005/2006 a causa dei suoi dolori alla schiena.
Dolori, come quelli psicologici di fronte alle perenni accuse di essere un perdente. Nonostante gli acciacchi e i tormenti, per non parlare di un Yao Ming che passa troppo tempo in infermeria, nella stagione successiva riporta Houston in postseason. Stavolta lo spauracchio è rappresentato dagli Utah Jazz. La franchigia di Salt Lake City però sembra un muro quasi insormontabile e arriva così l’ennesima e fallimentare (dirà così in conferenza stampa) eliminazione. Ma non è ancora finita perchè successivamente inizia a scricchiolare anche il suo ginocchio:nella stagione 2008/2009 non solo chiude l’annata in anticipo a causa di un’operazione ma vede i suoi Rockets superare il primo turno dei playoff senza lui e Yao Ming in quella che, invece di diventare una triste coincidenza, diventa solo un’altra ragione atta ad alimentare la tesi del ‘McGrady perdente’. Oltre al danno la beffa e anche l’addio a Houston.
Il 18 febbraio 2010 finisce ai New York Knicks con cui esordisce rifilando 26 punti agli Oklahoma City Thunder nonostante le precarie condizioni fisiche. Mike D’Antoni decide di utilizzarlo spesso come playmaker ma, dopo gli inizi incoraggianti, McGrady chiude nell’ombra l’avventura nella Grande Mela con soli 8,2 punti di media. In estate diventa free agent e si accasa ai Detroit Pistons per poi finire agli Atlanta Hawks. Con un corpo che non risponde più come un tempo e con le sirene tentatrici che lo ammaliano, T-Mac decide di approdare in Cina, firmando per i Qingdao DoubleStar. Tutto sembrerebbe il preludio al tramonto della sua carriera ma alla fine arriva un’ultima occasione per consolidare una leggenda vincendo l’agognato titolo.
Il 16 aprile 2013 viene ingaggiato dai San Antonio Spurs per far fronte alle diverse assenze che hanno colpito il roster texano. In tutto McGrady disputerà 6 incontri giocando per la prima volta assoluta nelle NBA Finals nella gara 2 che vede i neroargento contrapposti ai Miami Heat, che alla fine avranno la meglio conquistando l’Anello.
Dopo aver visto quest’ultimo treno passare, il 26 agosto decide di lasciare definitivamente il basket giocato. Nel maggio 2014 tenta poi di intraprendere la carriera nel baseball: viene infatti ingaggiato dagli Sugar Land Skeeters, squadra della Atlantic League. Diverse voci lo vogliono pronto per tornare a giocare in NBA, ma i rumors si rivelano tutto fumo e niente arrosto.
Zero sono titoli nel suo palmares ma sono tante, tantissime le prodezze che Tracy McGrady ha fatto vedere a pubblico e ad addetti ai lavori, lasciandole anche ai posteri. Perchè, a volte, anche se non vinci niente, puoi lasciare il segno lo stesso: T-Mac ne è stato un esempio, perchè il suo immenso talento è stato più forte dei malanni fisici, più forte delle critiche, le accuse e i vari processi mediatici. McGrady è stato a suo modo un vincitore, uno che ricordiamo e lo ricorderemo muoversi con leggiadria ed eleganza, pronto a colpire l’avversario con una facilità disarmante.
Per NBA Passion,
Olivio Daniele Maggio (@daniele_maggio on Twitter)