Andamento: 36 W – 17 L,
2° nella Southwest Division, 4° nella Western Conference.
Siamo giunti alla pausa dell’AllStar Game che, come ogni anno, arriva poco dopo l’halfway point della regular season NBA. I Rockets sono arrivati alla soglia delle 41 partite con un record di 28-13, e un successivo 8-4 giungendo all’attuale 36-17. Con 29 partite rimanenti, la caccia ad un miglior piazzamento possibile nella Western Conference si fa sempre più ardua. Lo scorso anno arrivarono 4°, con un record di 54-28, salvo poi uscire al 1° Turno contro i Portland TrailBlazers. Realisticamente c’è la possibilità di migliorare il record dello scorso anno, visto che basterebbe un 19-10 nelle ultime gare della stagione. Con i Golden State Warriors e i Memphis Grizzlies lanciatissimi verso le prime due posizioni di Conference, la lotta al 3° posto si fa decisamente interessante e conquistarlo risulterebbe fondamentale per Houston, che otterrebbe così anche un possibile decisivo fattore campo in previsione del 1° Turno dei PlayOffs.
I Rockets stanno passando un’annata inusuale, a causa del loro roster in mutazione continua. Kevin McHale, head coach della franchigia, ha dovuto fronteggiare mesi di infortuni e cambiamenti, presentando spesso quintetti e rotazioni di gran lunga differenti dalle sue idee di base. Questo ha permesso l’esplosione inaspettata di alcuni talenti, ma tuttavia ha precluso il rendimento di altri. Andando con ordine analizziamo tutti i giocatori che hanno preso parte alle stagione dei Rockets, partendo da i membri di contorno del roster, fino ad arrivare ai protagonisti e alle stelle della franchigia texana.
Clint Capela, ha giocato una media di 3.3 minuti nelle 6 presenze collezionate alla sua prima stagione nei Rockets. La scelta #25 dello scorso draft si sta adattando all’NBA giocando spesso nei Rio Grande Valley Vipers, squadra affiliata di D-League. Nick Johnson ha giocato ben 18 partite con una media di 10.3 minuti, ma attualmente è in D-League con i Vipers, dove sta facendo registrare un’impressionante media di 19.3 punti in 17 presenze. Troy Daniels, ha accumulato 108 minuti sul parquet prima di essere inserito nella trade con i Minnesota Timberwolves e Francisco Garcia ne giocati circa 200 prima di essere tagliato. Tarik Black merita una menzione particolare, il ragazzo era stato selezionato tra gli undrafted e si era inserito in maniera ammirabile nel sistema di McHale, 4.2 punti e 5.1 rimbalzi di media, giocando al posto dell’infortunato Dwight Howard. Tuttavia la necessità di liberare un posto nel roster per far spazio a Josh Smith ha fatto sì che Black venisse tagliato. Isaiah Canaan, scelto durante il secondo giro del draft 2013, è stato aggregato al roster dei Rockets ad inizio anno; ha giocato discretamente bene, mettendo a referto anche un carreer-high da 24 punti in Novembre, ma non è bastato per convincere McHale che, in seguito all’arrivo di Shved, ha spedito Canaan in D-League. Lo stesso Alexey Shved non sta lasciando una grande impressione nei tifosi Rockets, solo 9 presenze dal suo arrivo e prestazioni veramente poco convincenti, non sorprende che sia ai margini delle rotazioni del coach. Joey Dorsey non sta contribuendo molto dal punto di vista dello scoring, con soli 2.1 punti di media in 43 presenze, tuttavia la sua solidità difensiva e le sue percentuali a rimbalzo lo sostengono nel ruolo di vice-Howard. Detto questo, siamo ben lontani dal considerare le sue prestazioni ottime, o di buon livello.
Kostas Papanikolau, è sicuramente il miglior rappresentate della rookie class targata Rockets in questa stagione. 4.7 punti, 2.1 assist e 2.9 rimbalzi in 39 presenze di cui solo 1 in quintetto in 19.8 minuti di media. E’ probabilmente il tiratore più affidabile dalla panchina presente nel roster considerando l’andamento stagionale e, anche se il suo minutaggio è stato ridotto in seguito ai nuovi arrivi, McHale sa che Papanikolau è una risorsa per il futuro dei Rockets. Terrence Jones, è tornato in seguito all’infortunio che l’ha tenuto fuori dai giochi per gran parte della stagione e in sole 10 partite giocate è già risultato determinante. Jones, con Corey Brewer e Josh Smith, assicura un apporto dalla panchina che mancava ai Rockets ad inizio stagione e che Morey è riuscito a sistemare grazie all’importante trade imbastita con i Minnesota Timberwolves, e all’ingaggio di Josh Smith in seguito al taglio subito da J-Smoove da parte dei Detroit Pistons di Van Gundy. Brewer in 27 presenze, tutte dalla panchina, sta collezionando una media di 11.6 punti in poco più di 24 minuti, mentre Josh Smith una media di 11.7 in 26 partite. Jason Terry è sicuramente una sorpresa per Kevin McHale e i Houston Rockets: 50 presenze, 7.0 punti di media tirando con il 39% da dietro l’arco e una freschezza ritrovata, considerando che è 6° per minuti giocati da inizio stagione.
Patrick Beverley è invece una variabile impazzita di questa stagione. Beverley è noto per essere un ottimo difensore, e lo conferma anche l’essere stato nominato nel secondo All-Defensive Team dello scorso anno, ma nonostante tutto sembra non essere ai livelli della scorsa stagione. Il suo -0.92 DRPM, ovvero la statistica che indica i punti concessi in 100 possessi, lo classifica ben 35° in NBA, non proprio posizioni di primo livello per una Point Guard difensiva. Questo perché Pat è un giocatore che spreca molte energie in difesa, risultando a volte confusionario e caotico con un atteggiamento che lo porta spesso a rendersi vulnerabile ai crossover negli 1 vs. 1. D’altro canto però, il suo attacco è visibilmente migliorato, con un notevole perfezionamento del tiro da dietro l’arco. Trevor Ariza, ha subito invece il percorso inverso rispetto a quello di Beverley. Partito benissimo in attacco, con l’esplosione offensiva di Harden è riuscito a ridimensionarsi a livello difensivo, risultando ora ben 6° tra gli Small Forwards nella stessa classifica che vede Pat 35°, con un DRPM di 2.25. Donatas Motiejunas, è probabilmente la maggior sorpresa di questa stagione. Il suo lavoro in post è qualcosa di incalcolabile, immensamente migliorato nei movimenti e nell’efficienza offensiva. Il suo “hook-shot” in NBA è secondo solo a Roy Hibbert, con D-Mo che lo converte in punti il 59.5% dei tentativi. Inoltre è un lungo-moderno, di quelli che non hanno paura a prendersi e convertire tiri da dietro l’arco, soprattutto in un sistema come quello dei Rockets che incoraggia i tentativi da 3 punti. Se non ci fosse stato un incredibile Jimmy Butler, parlare di Motiejunas come possibile Most Improved Player non sarebbe di certo un’eresia.
Dwight Howard, siamo alle solite. Anno costellato da prestazioni altalenanti, infortuni, e picchi di partite da assoluta All-Star. Il suo impatto difensivo, seppur ancora ottimo in relazione a tutti gli altri della Lega, è calato tantissimo rispetto allo scorso anno, passando da 6° a 29°. Howard ora sta avendo a che fare con alcuni seri problemi al ginocchio destro, che lo stanno costringendo a star fuori dal parquet per un lungo periodo, rendendo i tempi di recupero totalmente incerti. C’è da considerare che Howard quest’anno sta lavorando a riflettori spenti su un fattore che potrà risultare poco visibile ai più: la leadership. Innanzitutto ha lasciato il ruolo di “alpha-scorer” a James Harden, ed è una concessione da non sottovalutare conoscendo il suo carattere. Inoltre si è spesso tenuto fuori da insensate risse e provocazioni, come nei casi di Kevin Garnett e Kobe Bryant, quando è stato ricoperto di trash-talking. Si può accusare Howard di molte cose, ma nulla si può dire quest’anno se non che stia facendo di tutto per aiutare i Rockets a fare il meglio possibile, lavorando e mettendosi totalmente a disposizione.
James Harden. Leader NBA nella media punti a partita con 27.4. Leader NBA, per distacco, nella Offensive RPM che misura l’impatto offensivo nella performance di squadra, considerando i punti segnati per 100 possessi. 87% di realizzazione ai tiri liberi, 6.8 assist a partita e 5.7 rimbalzi, ma soprattutto 20° su 98 nella classifica del Defensive RPM, statistica che abbiamo analizzato parlando di Beverley e Ariza. Tutte queste statistiche, compresa quella difensiva avete letto bene, probabilmente non bastano per descrivere l’incredibile stagione da assoluto candidato MVP che sta vivendo James Harden. Che si tratti di attaccare o difendere, tirare o passare, andare in penetrazione, colpire dalla distanza o andare al ferro, sta facendo veramente qualsiasi cosa. E lo sta facendo giocando in qualsiasi ruolo tranne che da centro. E’ veramente considerabile come uno dei più completi giocatori al momento in NBA. Il punto è, nonostante James Harden sia per distacco la ragione per la quale i Rockets sono così in alto negli standings, sarà in grado di continuare a questo livello e trascinare il più possibile la sua squadra nei PlayOffs? Solo le 29 partite rimanenti di regular season, e i PlayOffs veri e propri potranno darci la risposta che cerchiamo.
Per NBA Passion,
Eugenio Calafato