Celtics-Heat, sin dalle premesse di gara 1, si preannunciava come una serie all’insegna di entusiasmo ed equilibrio. Le due compagini, d’altro canto, dopo aver eliminato le favorite dell’Est, rispettivamente Toronto e Milwaukee, sono tornate nella top four della lega a distanza di anni, premettendo una lotta serrata nel cammino verso le Finals.
Se di equilibrio si può parlare (fino a un certo punto) per quanto visto sul parquet, altrettanto non si può dire per quel che concerne il parziale che, del resto, è ciò che più conta. Al termine dei primi due incontri i pronostici non sono stati rispettati appieno, con Miami a prendere il sopravvento fin qui della serie che conduce al palcoscenico più importante. Un 2-0 per gli Heat figlio di una doppia rimonta semplicemente straordinaria per le emozioni che le colorano; ai Celtics occorre un cambio di trend mentale più che di rendimento, agli Heat coltivare questo crescente entusiasmo.
Celtics-Heat: quali sono le chiavi della serie?
Nei primi due atti della serie un primo concetto trova negli Heat la sua dimensione più congeniale: non arrendersi mai. In due occasioni su due la compagine della Florida si è ritrovata sotto nel parziale del primo tempo (all’esordio di 14 punti, poi di 17 nel turno successivo), soprattutto in gara 2, quando poi si è concretizzato il capolavoro: Miami, infatti, nella sua storia ai playoffs non aveva mai rimontato 13 punti di svantaggio all’intervallo.
La squadra di coach Erik Spoelstra, in ambedue le situazioni, è riuscita a ritrovare in corso d’opera la quadratura del cerchio. Dopo un inizio disordinato e confuso, nel quale Boston ha prevalso grazie alle incursioni al ferro di Jayson Tatum e a un gioco meglio orchestrato nella prima metà di gara, gli Heat hanno impostato le giuste basi per prevalere nelle due fasi, pressando lungo tutto il perimetro e gestendo al meglio la fase difensiva nelle seconde metà di partita.
I recuperi palla si sono rivelati decisivi, figli di una lucidità costruita dopo essersi adattati ai ritmi e al gioco di Boston. Un fattore che sottolinea il pragmatismo di Miami: l’assenza in difesa di Iguodala è stata sopperito da un Jimmy Butler eroico nel non possesso (tre recuperi negli ultimi quattro minuti di partita in Gara 2) nonostante una prestazione, a livello di statistiche, non da lui (soltanto 4/11 al tiro con 4 rimbalzi e 3 assist).
In gara 1 sono state le singole scelte a premiare la riscossa degli Heat. La spettacolare vittoria di Miami trova nelle scelte di Butler al tiro (autore della tripla del definitivo sorpasso) e di Adebayo in difesa (memorabile la stoppata decisiva nel finale su Tatum) gli episodi più iconici. Ma ciò che colpisce dell’atteggiamento dei ragazzi di coach Spoelstra è il non disunirsi. La compagine della Florida ha continuato imperterrita a inseguire a testa bassa, senza mai disunirsi. Un atteggiamento che premia la filosofia “non conta come si parte ma come si finisce”, inversamente proporzionale al mancato affondo da parte dei Celtics. La squadra del Massachusetts non ha infatti tenuto conto del prorompente entusiasmo degli avversari che è prevalso nel finale, andandosi quindi a disunire gradualmente all’overtime.
Il paradosso di gara 2, invece, sta nelle statistiche. Boston ha infatti collezionato percentuali migliori al tiro (50% da due contro il 44.4% di Miami, 35.7% dalla distanza contro il 32.6% degli Heat, prevalendo tra l’altro nei rimbalzi difensivi, con 41 complessivi a fronte dei 38 avversari). Miami, tuttavia, puntando sul gioco di squadra e sull’apporto delle rotazioni (6 giocatori in doppia cifra) alla fine ha rimontato il risultato ed è prevalsa sui Celtics che devono fare ammenda del secondo calo consecutivo di attenzione e concentrazione.
I singoli
Passando poi all’analisi dei singoli, non si può non identificare in Jason Tatum l’indiscusso trascinatore di Boston. Già nella serie contro i Raptors aveva mostrato il meglio del suo repertorio (carisma, leadership, esplosività nelle incursioni al ferro e numeri da capogiro) ma nell’appuntamento delle finali di Conference certamente non ha deluso. Sempre meno, dunque, un giocatore da mid-range (la percentuale dalla media distanza è scesa da 27.7% a 17.9%) e sempre più spettacolare sotto canestro e dalla distanza (ha infatti aumentato la percentuale da tre da 29.8% al 37.9%).
Marcus Smart ha invece fatto un passo indietro da gara 1 a gara 2: meno punti al referto (26 prima, 14 poi) e tanto nervosismo sul parquet e nello spogliatoio, fattore che però può scuotere la squadra. Kemba Walker sta crescendo in termini di rendimento e protagonismo nei meccanismi dei Celtics, ma fin qui non è bastato per chiudere i conti sul risultato in favore di Boston. La lite fra il 36 e Jaylen Brown è una questione non del tutto risolta alla vigilia di gara 3 e allo stesso tempo incidere su un’armonia di gruppo piuttosto compromessa. In attesa di scoprire se Gordon Hayward potrà scendere in campo in Gara 3 le premesse per il terzo atto non lasciano scelta ai Celtics. Occorre infatti dare concretezza a quanto di buono mostrato fin qui nella serie per riaprire il discorso Finals.
Nel discorso relativo a Miami, invece, l’entusiasmo dei singoli non può che crescere alla luce delle rimonte fin qui collezionate. L’apporto di Jimmy Butler non è certamente da MVP in termini di statistiche, ma lo spirito di sacrificio dimostrato in difesa mette in luce quanto questo sport sia fatto di diversi aspetti e congetture. Il suo rendimento a decrescere (20 punti, 5 rimbalzi e 5 assist in gara 1 a fronte dei 14 punti, 4 rimbalzi e 3 assist di gara 2) è inversamente proporzionale all’entusiasmo mostrato nel non possesso.
Ma nel pragmatismo di Miami sono Goran Dragic, coi suoi 54 punti complessivi (29 al primo atto, 25 al secondo), e un Bam Adebayo semplicemente totale a sopperire alle altrui lacune. Laddove ci sono mancanze, ecco il gruppo a intervenire per sopperire al problema e superare l’ostacolo. Non si può poi non parlare dei progressi sorprendenti di Duncan Robinson dall’arco. Un rendimento in costante crescendo col 47% complessivi realizzati e il 44.6% dalla distanza messo a segno, migliorando sensibilmente il proprio apporto al punteggio nella serie (dai 6 punti di gara 1 ai 18 di gara 2).