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Around the Garden: Il gennaio nero dei Boston Celtics

di Nicola Bogani
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Il traguardo della metà stagione non poteva arrivare per i Boston Celtics in un momento peggiore di questo.

Le 6 sconfitte nelle ultime 8 uscite, di cui 3 tra le mura amiche del TD Garden e 4 contro avversarie con il record sotto il 50% di vittorie, hanno completamente ribaltato l’umore di una franchigia che sino a San Silvestro viaggiava con il vento in poppa verso una stagione di vera eccellenza.

Tutto sommato, il record di 27-14 – se raddoppiato – porterebbe a un più che ottimo 54-28, al di sopra delle previsioni di inizio stagione dopo la rivoluzione portata da Danny Ainge e con la fuga di Kyrie Irving e Al Horford. La squadra era sin da subito parsa poco profonda e costruita con quel che “restava” di buono dello scorso anno, più le scelte (tante) in mano ai Boston Celtics.

Troppo poco per far voli pindarici, ma allo stesso tempo abbastanza per affrontare una stagione con velleità di corsa profonda ai playoffs. Tutto rispettato ma all’improvviso la macchina che sembrava lanciata ad un secondo posto dietro ai dominatori Milwaukee Bucks si è inceppata. Vediamo quali poterebbero essere le cause principali di questo momento di crisi profonda.

Il calendario dei Boston Celtics, dopo una prima fase relativamente tranquilla, si è improvvisamente intasato: 10 partite in 18 giorni hanno tagliato le gambe ad un roster non particolarmente pronto per fasi così impegnative, con tanti infortuni a complicare la situazione.

Un roster poco profondo e con alcune lacune di base, come la panchina con pochi punti nelle mani (28esima nella NBA) e la mancanza un ala grande, di uno “stretch four” da poter utilizzare in certe partite e dare un po’ di respiro ai soliti noti.

Una squadra sin da subito affidata alle sorti offensive di soli cinque giocatori ed alla loro salute, che però è venuta a mancare sin dalle prime uscite. Quasi mai coach Stevens ha avuto tutti i suoi big a disposizione contemporaneamente e mai per un periodo di partite lungo.

Jayson Tatum e Jaylen Brown, dopo un inizio eccellente, hanno iniziato ad avere qualche problema di stanchezza con conseguente calo di rendimento e di continuità, anche perché costretti spesso a spremersi per le assenze prolungate di Gordon Hayward e Marcus Smart nella prima parte della stagione.

Gordon Hayward, dopo un inizio promettente, si è infortunato alla mano e dal suo rientro non è più stato lo stesso giocatore.
Ha detto più volte di avere fastidi al piede e di aver anche trattato l’arto infortunato con punture di cortisone per alleviare l’infiammazione, ma alle volte il problema di Gordon sembra più psicologo che fisico. Mens sana in corpore sano diceva un famoso motto latino, e sembra calzare a pennello con lo situazione del numero 20.

Hayward oggi ha una media di 2 liberi a partita, minimo storico, contro una media di 6 pre-infortunio che denota una minore aggressività e il continuo accontentarsi di tiri in step-back dalla media e dalla lunga distanza. Anche le percentuali dall’arco non eccezionali non stanno aiutando il giocatore che pian piano si sta incupendo, aiutando sempre meno la squadra in entrambi i lati del campo.

Il fatto di tirare da tre con solo il 35% ben al di sotto dell’ultimo anno agli Utah Jazz non aiuta certo Hayward a trovare un po’ di confidenza nei suoi mezzi. Lo stesso Smart, leader carismatico della squadra, ha cercato di rincuorare “GH” dopo il brutto errore che ha vanificato la rimonta contro i Suns e il record di triple dello stesso Marcus (11) in quella partita.

Ora tutti trattengono per i prossimi 20 giorni il fiato nella attesa e speranza che finalmente Ainge metta mano al portafoglio, usando magari le scelte di Milwaukee e Memphis 2020 in nostro possesso, per migliorare la squadra in vista del rush finale.

I nomi che girano sono sempre quelli: Bertans (40% dalla distanza), Bjielica (44%) o più difficilmente Saric, c’è chi addirittura auspica Rose o Bogdanovic visto i contratti relativamente favorevoli che renderebbero gli scambi più facili. Dovesse il GM passare la mano anche questa volta, come ormai prassi degli ultimi 4 anni, il segnale di poca fiducia in qualcosa di più di un primo o secondo turno playoffs sarebbe abbastanza evidente agli addetti ai lavori.

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