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Philadelphia 76ers, la storia prima del Trust The Process

di Pierangelo Rubin
Philadelphia 76ers

Philadelphia 76ers, uno dei pezzi della storia del basket NBA moderno, una franchigia mitica, dai grandi duelli con i Boston Celtics fino ad arrivare al presente, passando ovviamente per mr Wilt…

Da più di trent’anni non vincono un titolo Nba, da quasi diciotto non accedono alle finals e non c’è nemmeno un titolino di Division, comunque magra consolazione, con cui provare a ringalluzzirsi; eppure sono sulla bocca di tutti gli appassionati di basket per la splendida stagione da poco conclusa. Solo degli ultrasorprendenti Boston Celtics sono riusciti a stoppare la meravigliosa corsa dei 76ers che, ormai, possono ragionevolmente definirsi protagonisti della Lega. L’Nba ritrova così una delle franchigie più importanti pronta ad alzare sempre di più l’asticella delle proprie aspettative.

Philadelphia 76ers le origini del mito

Certamente, analizzando la storia della squadra di Philadelphia si nota come questa non abbia un palmares al livello dei Celtics o dei Lakers (ma oltre a queste compagini chi è in possesso di un simile albo d’oro?!?) e che assieme a New York sia la seconda squadra con più finali perse (6; al primo posto i Lakers con 15!). Nei primi diciassette anni della propria esistenza i Philadelphia 76ers si chiamavano Nationals e la loro casa non era in Pennsylvania, ma bensì a Syracuse, stato di New York. In poco più di quindici anni i Nationals vinsero un titolo (anno di grazia 1955) e persero due finali (1950 e 1954). Mattatori del Onondaga County War Memorial, l’allora arena di gioco, in quei pionieristici anni di gloria, erano il grandissimo centro difensivo Dolph Schayes (uno che nella sua carriera collezionò i seguenti titoli: rookie dell’anno, 12 volte All-Star, 6 volte First Team All-Nba, 6 volte Second Team All-Nba ed un titolo di allenatore dell’anno, allenò infatti anche i Philadelphia 76ers), Al Cervi (prima come giocatore, poi come allenatore; durante la sua esperienza sulla panchina di Syracuse i Nationals vinsero il titolo) e Paul Seymour (giocatore per dodici anni ed allenatore per quattro, in quel quadriennio, 1956-1960, era nella doppia veste di cestista e coach). Nel 1950 e nel 1954 furono i Minneapolis Lakers a battere in finale i Nationals in due serie aperte (4-2 e 4-3), mentre nel 1955 i Nationals, forti del miglior record stagionale della Lega (43-29) ebbero la meglio sui Pistons, allora franchigia di Fort Wayne (Indiana). Schayes è presente nei 50 migliori giocatori del cinquantenario della NBA ed il suo nome è presente, come quello di Cervi, nella Hall of fame del Naismith Memorial Basketball. Nel 1962 i Philadelphia Warriors si trasferirono in California e così nel 1963 i Nationals, a loro volta, si spostarono a nord accolti da una città ben più importante (arene di gioco per il primo quadriennio la Philadelphia Convention Hall e la Philadelphia Arena, quindi dal 1967 al 1996 lo Spectrum, l’attuale è il Wells Fargo Center). Ed è così che i Nationals divennero i 76ers (nome che evoca la data della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, avvenuta proprio nella città). Nel 1965 Wilt “The Big Dipper” Chamberlain divenne un 76er. Le tre stagioni di Wilt in Pennsylvania videro i Philadelphia 76ers protagonisti assoluti con tre migliori record stagionali (1966: 55-25; 1967: 68-13; 1968: 62-20), una semifinale (1966) ed una finale di division (1968) perse (gli enormi Boston Celtics dell’amico-nemico di Wilt, Bill Russell, i responsabili) ed un titolo Nba (1967) vinto sui San Francisco Warriors (dopo aver liquidato con un 4-1 la finale di Division contro i Celtics). Chamberlain, giocatore, mai ve ne sia stato uno, epocale, era la stella di una squadra che fra le proprie file aveva ottimi cestisti: il multitasking Hal Greer, Billy Cunningham (successivamente coach campione dei Philadelphia 76ers 1983) e Luke Jackson (scelto dalla franchigia al primo giro del Draft 1964). Coach della squadra campione del 1967 era Alex Hannum, che quasi un decennio prima aveva portato al titolo gli Hawks (allora in Missouri). La carriera di Hannum è legata a doppio filo a quella dei Nationals/Philadelphia 76ers, infatti vestì i loro colori come giocatore (1949-51), per poi allenarli e in NY (1960-63) e in PA (1966-68). I nomi di Greer e Cunnigham figurano fra i 50 migliori giocatori del cinquantenario della NBA e nella Hall of fame del Naismith Memorial Basketball, come Hannum.

Philadelphia 76ers il ritorno

Dopo alcune stagioni nefaste (fra cui si ricorda la nefanda annata 1972-73 con record 9-73!!!) i Philadelphia 76ers ritornarono prepotentemente fra gli attori principali della Lega grazie all’arrivo della divinità cestistica Julius Erving che trascinò i suoi (dal 1976 al 1987) a tre semifinali di conference, a due finali di conference e a quattro finali Nba (1977, 1980, 1982 e 1983, anno in cui, finalmente, giunse il secondo titolo con il record stagionale di 65-17). Se nel 1977 furono i Blazers di Walton padre a distruggere i sogni di gloria dei philadelphiani, nel 1980 e nel 1982 furono i Lakers ad aggiudicarsi il titolo, ma la vendetta dei Philadelphia 76ers ai danni di gialloviola giunse nella stagione 1983. Mattatori di questo ciclo ricco di soddisfazioni, oltre a Doctor J, furono: Moses Malone (MVP delle finali 1983 ed autentica leggenda cestistica), Bobby Jones (ottimo difensore e sesto uomo dell’anno nell’annata del secondo titolo), Maurice Cheeks (undici anni a Philadelphia come giocatore, sette come viceallenatore e tre come coach). Nel 1984 i 76ers scelsero al primo giro del Draft Charles Barkley (prima di lui vennero scelti fra gli altri: Hakeem Olajuwon e Michael Jordan), altro fenomeno assoluto, non a caso rookie dell’anno 1985. Purtroppo per Philadelphia il vecchio leone Erving ed il giovane fenomeno Barkley assieme non riuscirono a portare la franchigia più in là delle finali di conference 1985 che fino al 2001, in piena era Allen “The answer” Iverson, furono il loro miglior risultato.

Steve Kerr su Iverson

Steve Kerr su Iverson

Ad inizio secondo millennio, infatti, sotto la sapiente guida in panchina di coach Brown e in campo del play di Hampton (Virginia) i 76ers tornarono a lottare per il titolo. Stagione 2000-01 alle finals accedono i soliti Lakers e i Philadelphia 76ers. Gara 1 termina con la vittoria dei secondi. L’immagine della gara è Allen Iverson che dopo un canestro nel finale di partita umilia il suo avversario diretto, un imberbe Tyronn Lue, scavalcandolo con un innaturale quanto arrogante movimento delle gambe per poi puntare e sfidare nientepopodimenoche Kobe Bryant. È un’immagine fortissima che non ha perso un grammo del suo fascino, nonostante siano passati poco meno di vent’anni. Vi è tutto il desiderio di rivalsa di Iverson, l’incredulo e glaciale stupore di Bryant e l’inadeguatezza di Lue. Un piccolo pezzo di Nba in un’ipnotica istantanea a colori. Il guanto di sfida di Iverson venne duramente punito da Kobe e compagni che vinsero la serie con un perentorio 4-1 finale. Nonostante il ritorno sul proscenio più alto della Lega e nonostante Iverson fosse un realizzatore formidabile (il migliore in Nba nelle stagioni 1999, 2001, 2002 e 2005) Philadelphia non riuscì concretamente ad aprire un vero e proprio ciclo ritornando alla mestizia dei primissimi anni novanta e a nulla valsero gli sforzi profusi dal nuovo uomo immagine della squadra: Iguodala. Anzi, le cose peggiorarono, se possibile. Nel triennio 2013-16 la squadra vinse solo 47 incontri per perderne 199!!! Può un momento di enormi difficoltà generare qualcosa di positivo? No, ovviamente, a meno che il general manager Sam Hinkie non stia tramando qualcosa… Siamo ormai ai giorni nostri. Andiamo a vedere cosa è successo.

Sam Hinkie

Philadelphia 76ers general manager Sam Hinkie, speaks during a news conference Wednesday, Aug. 14, 2013, in Philadelphia. The NBA basketball team announced the hiring of Brett Brown as coach. (AP Photo/Matt Rourke)

Philadelphia 76ers, Trust the Process…Work in progress

Philadelphia navigava in bruttissime acque ed il general manager decise di portarla in acque addirittura peggiori per aspirare a posizioni migliori al Draft (così arrivarono a Markelle e Simmons, prime scelte assolute, e ad Embiid, terza scelta del primo giro Draft 2014), liberando strada facendo spazio salariale per poter, così, operare scambi sempre più vantaggiosi. Questa spregiudicata e, solo all’apparenza, vaneggiante strategia è stata chiamata The Process e, a giudicare dagli effetti, sotto gli occhi di tutti, è stata vincente, chi l’avrebbe mai detto?!?

Fultz, Simmons, Embiid, Saric, Ilyasova, Covington, Redick, Belinelli (che vorrebbe restare)… Non c’è che dire, i tifosi dei Philadelphia 76ers per anni hanno dovuto ingollare bocconi amarissimi ed umiliantissimi ma ora possono gongolare, infatti la compagine gode di un ottimo stato di salute e può ragionevolmente aspirare a qualcosa di più di una semifinale di Conference, il traguardo raggiunto in questa stagione. Ma si sa: Roma non fu costruita in un giorno.

Un album dei Diaframma, storica rock band italiana, si chiama “Il futuro sorride a quelli come noi”, titolo programmatico che sembra si riferisca anche ai Philadelphia 76ers. Il diavolo sta nei particolari e tutto è perfettibile. Non a caso in molti sostengono che un free agent di grande spessore debba essere arruolato dalla franchigia in estate affinché questa possa, legittimamente, dirsi pronta per lottare per il titolo.

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