LA Noire #2: Ma LeBron sta appassendo?

di Raffaele Camerini
LA Noire

Ci sentiamo di fare subito un paio di precisazioni: punto numero 1, il Micione (LeBron James) ha ormai 17 anni di esperienza NBA. Ovvio che non sia più il “ghepardo de ‘na volta”. Almeno non atleticamente anche se, va detto, non sta scavando le fosse quando salta. Vedi l’inchiodata sulla testa di Dallas.

Punto numero 2, tutti ad un certo punto hanno un calo dal punto di vista fisico. E’ fisiologico anche per un All Time Greater, numero 1 o 2 a seconda dell’interlocutore.

Ma siccome più alta è la caduta e più grande è il tonfo, il quesito che fa da titolo è una spina nel fianco. 

Può LeBron (34 anni oggi a scrivere) eguagliare le gesta di Michael Jordan e condurre una stagione da MVP a 34,35 e 36 anni? Probabilmente è pure vero che sono due giocatori completamente differenti, ma se vuoi conquistare il titolo di GOAT, queste domande sono sempre in agguato. Tanto più che il mio parere su chi sia il più forte di sempre non verrà certamente influenzato dalle prossime 3 stagioni di LBJ (curiosi, vero?).

LA Noire #2: Lo snub

E’ stato più volte snobbato in più di una risposta all’ultimo GM survey, sondaggio che vale quanto un dito per fermare una cascata ma che ti fa capire il pensiero generale della NBA in un dato momento storico. In questa sede, il Micione di Cleveland, non si è trovato tra i primi della classe sotto le voci inerenti alla migliore Small Forward, al prossimo MVP, al miglior giocatore attuale della lega e neppure tra quelli su cui si costruirebbe domani una squadra NBA.

Siamo andati piuttosto in basso (rispetto al primo posto) un po’ ovunque, anche se poi lo vedi in campo e ti accorgi che a 34 anni hai visto gente messa molto peggio, sia dal punto di vista fisico che da quello tecnico. Però non è più un ragazzo, la presenza di Davis non lo aiuta a centralizzare il gioco su di sé (per fortuna) e che forse a questa età sciogliersi un po’ nel sistema di squadra potrebbe essere una esperienza elettrizzante. Oltretutto the Unibrow non è andato malaccio qualche sera fa, chiudendo con 40 e 20 in 31 minuti, meritandosi anche del Player of the week sezione ovest. 

La vita fuori dal campo

La sensazione è lieve e di sicuro sospetto, ma si fa sentire. Probabile che James stia pensando più alla vita fuori dal campo che quella in campo? Probabile che non si senta più affamato come prima? 

Andiamo per ordine, in quanto le due domande necessitano di una risposta consegnata con i dovuti guanti.

Sì, LeBron Raymone James sta pensando sempre più alla vita fuori dal campo. Ma questo vale ora come 5 anni fa. E’ una multinazionale vivente, fatta di sponsorizzazioni, vedi Nike, Beats, KIA e Sprite giusto per citarne alcuni, ha una quota di minoranza del Liverpool FC, ha quote in molte aziende di grande prestigio ed è attivo sotto il profilo socio-politico. Oltre questo è un genitore responsabile, cosa che non va mai sottovalutata. 

Ma questo è ora, come lo era 5 anni fa, quando il titolo ai Cavs ancora non esisteva o anche come 3 quando perse contro gli Warriors pre-Durant. Il suo mestiere è giocare a basket ed a vedere da queste prime uscite, non se ne è scordato.

Da qui si giunge alla domanda sulla fame da giocatore. Lo spettro che si senta appagato dopo la vittoria del 2016 è vorace e verace. Ma un’idea che lambisce la parte psicologica di un uomo, un giocatore, che mai lascerebbe ad estranei sapere cosa pensa davvero.  Va detto che guardando i pochi segnali che ci concede, laddove si fosse sentito veramente appagato, non avrebbe speso tutte quelle energie per riportare i Cavs in finale nei due anni successivi, così come rientrare dopo 6 settimane da un infortunio che ne avrebbe richiesti 6 di mesi. Fino al continuare a spendere 1 milione e mezzo di dollari ogni anno per la cura del proprio corpo. 

LeBron James

LeBron James durante la premiazione dello storico titolo vinto nel 2016.

Quindi a ben pensarci, no, non è appagato per niente. E le tre triple doppie in filotto che ha ordinato in altrettante uscite lo dimostrano ampiamente. Così come gli 11.1 assist di media. Chiaro che buttarla in aria nei pressi del ferro è più facile se hai AD, McGee e Howard pronti a metterla dentro, però 11.1 rimangono ad ora il suo massimo in carriera e non hanno danneggiato assolutamente la statistica relativa ai punti segnati, ad ora 26.1 ad uscita, con una da 39.

La stagione è ancora lunghissima e la fine è lunga 75 partite più presunti playoffs. Ma gli inizi non sono male.

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