La nazionale statunitense di pallacanestro riunitasi alle Olimpiadi del 2004 ad Atene, fu uno dei più grandi insuccessi nella storia cestistica della nazione a stelle a strisce. Il gruppo venne guidato da coach Larry Brown, il quale due anni prima era stato inserito nella Hall of Fame di Springfield, e comprendeva sia astri nascenti come Dwyane Wade, LeBron James, e Carmelo Anthony, che giocatori già affermati all’interno delle lega come Tim Duncan ed Allen Iverson.
La squadra, nonostante l’incredibile quantità di talento, presentava già sulla carta delle notevoli incongruenze, in quanto i giocatori chiamati a militare professavano diverse mentalità, esperienze e stili di gioco. Dei dodici atleti selezionati per partecipare agli eventi tenutisi in Grecia, metà non avevano ancora compiuto ventiquattro anni, quindi disponevano di una minima esperienza non sufficiente per poter competere a tali livelli. Gli unici due partecipanti muniti di una concreta dimestichezza per il gioco erano la guardia dei Philadelphia 76ers, e l’ala grande dei San Antonio Spurs.
Il primo, MVP della stagione 2000\01, ricopriva il ruolo di leader indiscusso della sua squadra sin da quando aveva debuttato nel Pennsylvania nel novembre del 1996. Entrando ai Giochi Olimpici del 2004, Iverson era reduce da una stagione conclusa con una media di 26.4 punti a serata, interrotta però in modo precoce a causa di un forte dolore nella zona della rotula. Al contrario, Duncan, una figura sicuramente più pacata vocalmente rispetto al prodotto di Georgetown, ma altrettanto efficace e determinato su entrambe le metà campo, aveva appena iniziato a comprendere cosa volesse significare guidare una formazione in prima persona.
Uno degli attriti principali che si verificò all’interno dei dodici olimpionici riguardò nello specifico Anthony e James, che, schieratisi uno al fianco dell’altro, cercarono in tutti i modi di far sentire la loro presenza nei confronti di Richard Jefferson e Shawn Marion. Quest’ultimi due erano le ali con maggiore esperienza alle loro spalle, e per questo motivo ricoprivano gran parte dei minuti nel loro ruolo, sottraendoli ad altri.
Anthony e James, il complotto olimpionico contro Jefferson e Marion
Secondo quanto riportato dall’ex ala dei Denver Nuggets all’interno di un’intervista, i due avrebbero cercato di scagliarsi contro Jefferson e Marion ogni volta che ne avevano la possibilità. Anthony ha sottolineato che, secondo il suo parere, erano lui ed il suo compagno James a dover meritare maggiori attenzioni nel ruolo delle due ali. “Ci scagliavamo (riferito a noi, Anthony e James, ndr) su di loro ad ogni occasione possibile. Gli allenamenti uno contro uno, le partitelle, erano quelle le giuste occasioni per fargli sentire la nostra presenza. Eravamo noi le star che meritavano un ruolo di rilievo, non Jefferson e Marion“.
Jefferson e Marion non disponevano di una notevole e longeva esperienza nella lega, ma erano comunque subentrati nel maggiore palcoscenico di pallacanestro prima di James ed Anthony. L’ala dei New Jersey Nets aveva conseguito il suo debutto NBA nel 2001, mentre l’ex Phoenix Suns il 2 novembre del 1999. Per di più, la franchigia del New Jersey aveva prolungato la sua corsa al titolo fino al round finale per ben due anni consecutivi, e questo aveva sicuramente aumentato la credibilità da un punto di vista strettamente legato al gioco di Jefferson. Marion, invece, aveva ricoperto un ruolo abbastanza importante in una serie di annate da playoffs, pur sempre concluse con un’eliminazione al primo o al secondo turno.
La formazione statunitense concluse le Olimpiadi di Atene con una medaglia di bronzo, considerata un vero e proprio fallimento per gli standard statunitensi, forse ancora abituati alle gesta del Dream Team d’annata 1992. Le tre sconfitte totalizzate arrivarono contro il Porto Rico, per 73-92, niente di meno che la peggior prestazione per una nazionale di pallacanestro di tale nazione, contro la Lituania, per 90-94, e contro l’Argentina, per 81 a 89.