In attesa di sviluppi, e di capire se e quando la stagione NBA 2019\20 potrà riaprire i battenti dopo la improvvisa chiusura e la frenetica serata di mercoledì, con la positività al coronavirus covid-19 di Rudy Gobert e Donovan Mitchell, la NBPA (associazione giocatori) preme perché le parti adottino una clausola del contratto collettivo di lavoro, la “doomsday clause”, che consentirebbe agli atleti di ricevere comunque una buona parte dei soldi ancora dovuti, nonostante lo stop.
Clausola importante a tutelare gli stipendi dei giocatori soprattutto qualora la stagione venisse cancellata del tutto per cause di forza maggiore. Dopo la riunione telematica del board of governors della lega, il Commissioner Adam Silver ha ribadito che l’intenzione della NBA è quella di recuperare la stagione, ma non ha escluso lo scenario peggiore.
Alcune disposizioni del Collective Bargain Agreement garantiscono i diritti degli atleti in caso di sospensione della stagione per cause di forza maggiore come conflitti militari e disastri naturali, o epidemie come la corrente, che ha investito anche gli Stati Uniti con oltre 1600 casi di contagio accertati, e 41 pazienti positivi al coronavirus deceduti.
La NBA resterà ferma per certo per i prossimi 30 giorni, periodo di stop in cui la lega raccoglierà informazioni, si assicurerà della salute di giocatori e staff delle squadre, e valuterà il da farsi. Le perdite economiche, in termini di mancati introiti commerciali e susseguente crollo del salary cap e quindi del valore dei contratti dei giocatori, sarebbero enormi, forse troppo grandi da essere tollerate dal sistema NBA. In caso di sospensione delle partite per cause di forza maggiore, i giocatori possono arrivare a perdere 1\96eimo del loro stipendio per ogni partita non disputata.
Tanti giocatori NBA stanno intanto seguendo l’esempio di Kevin Love dei Cleveland Cavs, e si stanno attivando per destinare somme di denaro per istituire fondi per il sostengo dei lavoratoti dipendenti delle arene, oggi chiuse, rimasti senza lavoro.