La notizia dell’addio di Tom Brady ai New England Patriots è stata così importante da fare persino breccia (e che breccia) nelle cronache occupate giorno e notte dalla triste conta dei contagiati, dei danni e dei decessi in giro per il mondo a causa dell’epidemia da covid-19.
Tom Brady lascia i Patriots dopo 19 stagioni, 6 Super Bowl, 3 titoli di MVP ed una sfilza di record personali e di squadra, raggiunti nella dinastia per eccellenza del football americano, con coach Bill Belichik. Il campionissimo ha scelto di giocare ai Tampa Bay Buccaneers quella che potrebbe essere anche l’ultima stagione della sua grande carriera. Quel che è certo, è che la sua partenza lascia la città di Boston improvvisamente senza la sua grande icona sportiva, un campione noto anche oltreoceano, ed anche a chi di sport, men che mai di football americano, ha mai saputo nulla.
Per i Patriots, rimpiazzare Brady (impresa impossibile) sarà complicato anche per la situazione salariale poco flessibile. La sua partenza, noi che ci occupiamo di palla a spicchi potremmo provare a leggerla come un ideale passaggio di consegne inter-disciplinare tra ormai passato (Brady) e presente e futuro nel panorama sportivo in Massachussets.
Da Tom Brady a Jayson Tatum.
Il terzo anno da Duke dei Boston Celtics ha fatto il salto in questa stagione, ora in pausa forzata. Da 19enne prodigio della serie di finale di conference contro LeBron James & His Cleveland Cavs (2017) alle enormi difficoltà con (contro) una vecchia conoscenza di LeBron, Kyrie Irving, nei disfunzionali Celtics 2018\19, all’esplosione da supernova nel 2020. In una squadra priva del corpo estraneo Irving, ma comunque con questioni tattiche da definire alla vigilia (distribuire al meglio un attacco forte di 4 esterni con potenziale da All-Star come Walker, Brown, Gordon Hayward, oltre a Tatum), l’ex Blue Devils ha fugato ogni dubbio su chi dovesse essere il punto di riferimento per i Celtics.
Celtics che guidati da Tatum si erano proposti come possibile alternativa ai Milwaukee Bucks nella Eastern Conference, e una squadra con una “potenza di fuoco” maggiore dei super-resistenti Toronto Raptors. Anche nelle ultime 15 partite giocate, e disputate per lo più senza Kemba Walker (anche Brown ha saltato qualche gara), Jayson Tatum era riuscito a tenere l’attacco dei Celtics sulle medie stagionali, mentre la difesa cedeva qualcosa ma restava comunque tra le prime 10 per defensive rating.
La stagione da All-Star di Tatum è svoltata a febbraio, un mese chiuso a 30.7 punti di media a partita, con il 49% al tiro ed un curioso 48.1% al tiro da tre punti su 9 tentativi a partita, ed un PIE (player impact extimate) da 17.4, in pieno territorio Anthony Davis, Russell Westbrook e James Harden, ovvero l’elite NBA. A febbraio i Celtics hanno chiuso con un record di 10-2, iniziando a staccarsi dal gruppo per la corsa al secondo posto nella Eastern Conference.
Il mese di marzo era iniziato per Tatum con una flessione ed un problema fisico, ma anche con due prestazioni da 32 e 30 punti in due delle quattro vittorie (Cavs e Pacers le avversarie) nel mese dei Celtics prima dello stop.
Numeri e sensazioni in campo che hanno fatto di Tatum il punto focale dei Boston Celtics, che attendono dai tempi di Paul Pierce e Kevin Garnett quel giocatore in grado di elevarli sopra le avversarie dirette. Quel giocatore che, per motivi caratteriali e fisici, Kyrie Irving non ha mai dimostrato di poter essere, e che il pur fantastico Isaiah Thomas di tre stagioni fa non avrebbe comunque potuto essere. In fondo, ruolo e parabola fin qui in carriera del prodotto di Duke possono far immaginare un paragone ideale con il vecchio Pierce, che a Beantown arrivò quasi a contendersi il titolo di sportivo numero 1 con Brady e David Ortiz dei Red Sox.
Ora, Tom Brady non c’è più, e la scena sportiva di Boston è tutta per Jayson Tatum.