Home NBA, National Basketball AssociationNBA News Adam Silver: “Giocatori NBA asintomatici potenziali super-diffusori” del virus

Adam Silver: “Giocatori NBA asintomatici potenziali super-diffusori” del virus

di Michele Gibin
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I casi confermati di positività al coronavirus Sars-CoV2 tra i giocatori NBA sono oggi 14, e Denver Nuggets e Philadelphia 76ers hanno annunciato nelle ultime ore la positività al test di “membri delle organizzazioni”, senza però precisarne il ruolo. Notizie attese dai vertici della NBA e da Adam Silver, che in una lunga intervista a Rachel Nichols di ESPN ha spiegato come i giocatori, per via dei tanti spostamenti e dei contatti frequenti e multipli, possano essere considerati dei “super diffusori” del virus.

Non siamo sorpresi, se pensiamo a quante persone sono potenzialmente esposte e con i pochi tamponi disponibili, credo che se prendessimo un gruppo di newyorchesi a caso, i casi di positività tra loro sarebbero diversi“, così Silver “E i giocatori potrebbero essere messi nella particolare categoria dei super-diffusori: persone giovani, che vivono a stretto contatto tra di loro, e che viaggiano spesso, che interagiscono con gruppi eterogenei di persone. Per una larga parte di loro il contagio è asintomatico, e se i sintomi ci sono, sono molto lievi“.

La questione sugli asintomatici che avrebbero inconsapevolmente contratto e diffuso il virus è dibattuta da settimane nella comunità scientifica. Un individuo contagiato e che non mostra sintomi non avrebbe avuto nelle scorse settimane (prima delle misure di restrizione oggi in vigore) motivi per limitare i propri spostamenti per lavoro o svago, e il nodo sulla capacità di un asintomatico di contagiare altre persone è tutt’oggi oggetto di discussione (il virus si trasmette quasi esclusivamente per via aerea diretta, da starnuti o colpi di tosse, manifestazioni rare per una persona che non ha sintomi simil-influenzali). Naturalmente, il contatto ravvicinato e prolungato con dei soggetti asintomatici ma comunque contagiosi aumenta il rischio di contagio.

Tornando alla NBA, sui tanti controlli effettuati sulle squadre messe in quarantena preventiva (Raptors, Cavs, Celtics, Lakers tra le altre, poiché ultime avversarie degli Utah Jazz di Rudy Gobert e Donovan Mitchell, e dei Brooklyn Nets), sono oggi pochi i casi positivi. Un aspetto però che non deve rassicurare, per Silver: “Il problema (con i giocatori, ndr) è quando questi magari abbracciano i propri nonni ad esempio, rischiando di contagiare una persona più esposta a complicazioni gravi per via dell’età o per motivi di salute“.

Silver ha poi sottolineato la determinazione con cui la decisione di fermare la stagione dopo le novità di Jazz-Thunder: “Una decisione lampo. Non abbiamo avuto alcuna esitazione, ma ci siamo preoccupati di non creare allarme in una arena da 19mila persone, per cui abbiamo comunicato la decisione di fermarci solo dopo che il pubblico fosse uscito in tutta sicurezza dalla Chesapeake Energy Arena. La scelta di fermare tutto è stata giusta“.

Lo stop forzato della NBA è servito negli USA da spartiacque nell’affrontare l’emergenza pandemia. Sulla coda della NBA, altre leghe sportive come la NCAA e la NHL hanno scelto di sospendere ogni attività, ed i giocatori e squadre NBA si sono fatti testimonial delle pratiche di distanziamento sociale necessarie per rallentare la diffusione del virus.

Adam Silver ha ribadito la volontà della lega di “salvare almeno parte della stagione”, ma aggiungendo che l’ultima parola spetterà solo alle autorità sanitarie nazionali. Ogni notizia di positività di un giocatore rimanda però inevitabilmente a “zero” il conto alla rovescia sulla possibilità di riprendere a giocare magari già a metà giugno. Nella giornata di ieri intanto, la lega ha comunicato alle squadre la chiusura per motivi cautelari delle facility di allenamento, altro elemento che potrebbe allungare i tempi.

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