L’abbiamo chiamata così. Andata e ritorno dagli inferi. Per molti giocatori è diventa improvvisamente realtà perché la NBA è crudele e non fa prigionieri. Esalta giocatori che azzeccano dieci partite consecutive e ne punisce allo stesso tempo altri che, per un motivo o per un altro, non sono riusciti a mantenere le aspettative riposte in loro. Viene visto quasi come un tradimento. In un attimo assistiamo al passaggio dall’idolatria di media e tifosi alla grigia di indifferenza. Il tutto nel giro di quanto? Una, due stagioni? Una follia dettata unicamente dagli interessi economici che fanno da padroni, a sua volta, alle regole del gioco. In tutto questo però ci sono giocatori che riescono ad uscirne, spesso cambiando contesto, scenario o semplicemente atteggiamento.
In queste poche righe cercheremo di analizzare con voi gli esempi più emblematici di questa stagione.
IL RITORNO DI BRANDON INGRAM
La storia di Brandon Ingram ci parla di un ragazzo della Carolina taciturno ed introverso, dal talento cristallino, approdato ad LA come seconda scelta al draft del 2016. Già LA, probabilmente il posto peggiore in cui potesse finire un giocatore del genere. L’ambientamento non è stato facile e anzi, non c’è mai stato. I numeri in tre anni parlano di un giocatore assolutamente mediocre che partita dopo partita vedeva venir meno la fiducia di compagni, staff, tifosi e stampa. L’arrivo di LeBron James in squadra non fa che peggiorare le cose e Brandon a fine stagione viene inserito come ciliegina sulla torta recapitata ai New Orleans Pelicans per avere Anthony Davis.
Da quel giorno, la magia. Ingram alla corte di coach Alvin Gentry rinasce. Le interviste fanno capire in pochi secondi cosa è accaduto. Niente di speciale, solo serenità e affetto dati da un pubblico e da una città più amorevole, paziente ed affettuosa nei suoi confronti. “Southern hospitality, that’s where I come from, you can just feel it in the air. Coming here, it just feels good.” E queste parole, pronunciate da Brandon Ingram, mi hanno fatto riflettere. Spesso parliamo di allenatori, sistemi, stelle e stelline quando invece, in molti casi, è semplicemente il contesto a fare la differenza. Ingram si trova in una assoluta zona di comfort in questo momento. Sta finalmente sbocciando e mantenendo quelle tante promesse e speranze che sin da quel draft erano state riposte in lui.
26 punti di media con il 48% dal campo ed il 40% da 3. Queste percentuali basterebbero per far capire il grado di fiducia maturata in questi mesi, ma poi vai avanti e leggi 7 rimbalzi, 4 assist e praticamente 1 recupero e 1 stoppata a partita. Lì capisci che ti trovi davanti ad un giocatore totale che attacca il ferro con autorevolezza, tira da tre, difende e gestisce l’azione quando serve. Se a tutto ciò aggiungiamo l’umiltà e la serietà con cui viene descritto mi viene da pensare ridendo che il livello che lo separa dalle grandi ali di questi anni non è troppo lontano, e che la distanza che ancora lo separa dal Paul George di turno, continuando in questa direzione, verrà presto colmata.
Stiamo esagerando? Nessuno lo sa. Quello che è certo è che Brandon Ingram a 22 anni ha già vissuto talmente tante vite cestistiche che difficilmente si lascerà sfuggire l’occasione per continuare a brillare. Andata e ritorno dagli inferi con in mano un premio di Most Improved Player ed un massimale a testimoniarlo. Why not?
IL RITORNO DI MARKELLE FULTZ
“It’s a long way to the top If you wanna rock ‘n’ roll” cantavano gli AC/DC, e mai descrizione fu più appropriata per la finora breve carriera di Markelle Fultz. La stellina uscita da Washington è nella NBA da sole tre stagioni, dopo essere stato selezionato con la prima scelta dai Philadelphia 76ers nel ricco draft del 2017. Da quel momento in poi, è iniziato un vero e proprio calvario per un giocatore che, fino a quel momento, aveva fatto intravedere degli sprazzi da scorer elitario, uniti ad un’ottima capacità di lettura della difesa nel gioco a metà campo.
Nel corso dell’estate 2017, Fultz viene colpito dal più clamoroso caso di “yips” della storia del gioco. Un tiratore dal 40% dalla lunga distanza al college, Fultz chiuderà la sua prima stagione con un misero 0 su 1 da tre in 14 partite. La seconda stagione non va molto meglio, vedendolo finire con un 4 su 14 in 19 comparse. Incredibile se si considera che il 40% ai tempi di Washington erano maturati con più di 5 tentativi dalla distanza a partita.
Ma il vero dramma di queste prime due stagioni non è nemmeno l’improvvisa sparizione della sua capacità di segnare dalla distanza (o da qualsiasi parte del campo, ad essere onesti). D’altronde anche Ben Simmons, suo compagno di backcourt, continua a dimostrare di poter aver un qualche tipo di impatto nonostante non abbia ancora capito con che mano bisogna tirare. Il vero dramma è l’incapacità di Fultz di rimanere in campo con costanza. Ed è così che durante le sue due prime stagioni, la prima scelta del Draft ’17 calcherà il parquet solamente 33 volte.
Ecco quindi arrivare una possibile svolta: nel febbraio 2019, la point-guard del Maryland viene ceduta agli Orlando Magic, squadra con delle aspettative chiaramente al di sotto di quelle dei Sixers. Anche qui, però, l’inizio non è dei migliori. Dopo essere stato scambiato a febbraio, Fultz non giocherà la sua prima partita per Orlando fino alla pre-season dell’anno seguente. A questo punto, sembra che si sia arrivati al punto di non-ritorno per Markelle Fultz. E invece, il 2019 finisce in netto rialzo, con un crescendo di doppie cifre e un giocatore che mostra molti degli sprazzi visti al college. Il tiro da 3 rimane complesso, ma la capacità di andare al ferro è quella dei grandi attaccanti, per non parlare delle chiare abilità di playmaking che non sono mai state in dubbio.
Ed ecco allora il 15 gennaio 2020, la prima visita allo Staples Center della sua carriera. Di fronte i Lakers di LeBron, rimaneggiati complice l’assenza di Anthony Davis. Fultz tira fuori la prestazione della vita, segnando i due canestri decisivi per la vittoria dei Magic. A fine partita il referto dirà 21 punti, 11 rimbalzi e 10 assist, con solo una palla persa. Iconica la spallata con cui sposta LeBron James in contropiede prima di un appoggio facile, mostrando una potenzialità fisica fuori dal normale.
Gli ultimi 5 minuti di Markelle Fultz allo Staples Center certifica un suo ritorno dagli inferi
Ovviamente non è tutto oro quello che luccica. Tutti i limiti di questo giocatore ancora così giovane sono venuti fuori nella partita immediatamente successiva, e continueranno a vedersi per il resto della stagione (almeno). Quello che è certo però, è che la carriera di Markelle Fultz sembra essere per ora uscita dal baratro. It’s a long way to the top, ma per adesso la strada intrapresa sembra essere finalmente quella giusta.