Negli anni recenti uno dei problemi, forse quello più evidente, dei Phoenix Suns è stato quello di non avere a roster una point-guard di livello, un elemento capace di mettere disciplina alla manovra e di dettare i tempi a seconda delle situazioni. Una lacuna che sembrava esser stata colmata con la firma di Ricky Rubio lo scorso anno, in piena free agency 2019. Lo spagnolo ha racimolato 13 punti, 4.7 rimbalzi e 8.8 assist a partita nel suo unico anno trascorso in Arizona. Già, perchè evidentemente l’ex Timberwolves non è bastato per alzare l’asticella e strappare la qualificazione ai playoffs che manca dal lontanissimo 2010. Specialmente in un gruppo tutto sommato giovane urgeva più esperienza, ma anche una maggiore costanza al tiro e un apporto in difesa. Da lì la decisione di fare all-in, come si suol dire, e di affidare il compito ad un professore del gioco come Chris Paul.
La trade confezionata con gli Oklahoma City Thunder ha rappresentato una svolta in casa Suns, che hanno legittimato le proprie intenzioni: formare un big three assieme ai due pilastri del futuro Devin Booker e DeAndre Ayton prendendo un elemento capace far da guida nel vero senso della parola, di essere utile nell’immediato senza aspettare altro tempo prezioso in una lega sempre propensa ad evolversi. E così via appunto Rubio, Kelly Oubre Jr, Ty Jerome, Jalen Lecque e una prima scelta del draft 2022 e dentro Chris Paul. In un gioco che è valsa la candela, anche perché probabilmente a questo punto non c’era alternativa.
Questione di ritmo
Un’inversione di tendenza di questi Phoenix Suns targati Chris Paul è da ricercare nel ritmo partita. Lo scorso anno il team guidato da Monty Williams viaggiava ad un pace di 101.74, un dato che in questo scorcio di stagione si attesta a 97.43, praticamente il davanti soltanto ai New York Knicks. CP3 aiuta la squadra a far girare un po’ più il pallone, giochicchiando col cronometro dei 24 secondi, in modo da cercare la soluzione migliore per concludere. Sul parquet, come normale che sia, è il giocatore dei Suns che esegue più passaggi in media, ma anche quello che ne riceve maggiormente, a testimonianza del fatto che i compagni si rifugiano spesso da lui per trovare sbocchi offensivi.
Si cerca di tenere il campo aperto per pulire le spaziature e convergere verso il canestro non appena c’è una linea di penetrazione. Di solito Paul usufruisce di un blocco per smarcarsi ed operare, addrentandosi poi in area: come già accennato, non c’è fretta nel dover chiudere l’azione, ma la point-guard sa trovare velocemente il giusto momento e la giusta soluzione di passaggio, che sia quella andare a servire un tagliante e chiudere l’azione nella restricted area o scaricare il pallone verso un tiratore appostato sul perimetro. Il suo compito è quello di ottimizzare il rendimento dei compagni, cercare di non far prendere loro tiri forzati.
Uno dei pregi che più risaltano la figura di Chris Paul è quella di instaurare un’intesa, o meglio, una connessione con gli altri giocatori di punta del team. Basti pensare all’era Lob City durante la sua militanza ai Los Angeles Clippers assieme a Blake Griffin e DeAndre Jordan, o ad Oklahoma City dove ha contribuito a far filare un sistema dove c’erano tre point-guard contemporaneamente in campo (oltre a lui Dennis Schroder e Shai Gilgeous-Alexander). Nella città dell’Arizona ha preso come suoi diletti allievi Ayton e Booker, che stanno ricevendo le sue indicazioni: il centro sa quando farsi trovare pronto nel cuore dell’area a raccogliere i suoi passaggi o delle alley-oop per schiacciare a canestro, andando a tirare dal campo col 52.7% dal campo (2.2 tentativi realizzati sui 4.2 generati dai servizi di Paul); la guardia invece è il giocatore che ottiene più passaggi (13.9 in media) dal nativo di Wiston-Salem, anche se finora i suoi numeri sono altalenanti.
Chris Paul, un passatore e all’occorrenza… uno scorer
Rispetto al suo predecessore, Rubio, Chris Paul per i Suns è un’opzione solida in termini di scoring, visti i suoi vari modi coi quali riesce ad andare a segno. Nella NBA attuale dove c’è la propensione a prendere conclusioni statisticamente favorevoli (il tiro da sotto e la tre), il numero 3 è uno dei pochi ad affidarsi ancora al mid-range shot, una soluzione ormai considerata vintage: grazie al suo ball handling di qualità riesce a disorientare il proprio marcatore e a scoccare rapidi e mortiferi tiri dal palleggio, circa 5 a partita (2.7 realizzati di media, col 53.1%) Un toccasana per la banda di Williams, soprattutto nei momenti in cui l’attacco è bloccato. Inoltre, non spesso, il numero 3 sa come venir utile in modalità catch and shoot, muovendosi senza palla e appostandosi sulla linea del tiro pesante per ricevere e colpire.
Forse non avrà lo smalto dei tempi migliori, ma il classe 1985 riesce a dire la sua anche nella propria metà campo. I risultati del suo effort non vanno ricercati nel tabellino, ma in quello che riesce a mettere sul parquet, a partire dalla pressione che esercita sul portatore di palla e nel contenimento in fase di marcatura. Ha senso della posizione nel coprire le linee di passaggio e mani abbastanza veloci per scippare il possesso (sono 1.2 le steal a partita).
Insomma, Chris Paul è quel tipico giocatore che sale in cattedra e indica la via maestra agli altri, che li esorta a sprigionare il loro potenziale all’interno di un sistema prestabilito. Un uomo carismatico, come dimostra il suo incarico di presidente dell’associazione giocatori, un leader coraggioso che dà la carica in più dal punto di vista mentale e che non ha paura di prendersi delle responsabilità. Pochissimi giocatori sono in grado di cambiare un contesto in tale maniera e di fare la differenza: questa annata per i Suns rappresenta un autentico esame, da superare, con l’aiuto di uno specialista della materia.
NB: le statistiche utilizzate all’interno dell’articolo fanno fede alla data di pubblicazione dello stesso.