Avere sul parquet più giocatori capaci di costruire gioco e di dare ritmo alla manovra è sempre un bene e tutt’altro che un problema. Il mantra di Mike D’Antoni è scolpito sulla pietra, indissolubile. Di sicuro l’avrà imparato come Dio comanda Daryl Morey, firmatario in estate di uno dei colpi di mercato più eclatanti, ossia Chris Paul. L’occasione era troppo ghiotta per non essere sfruttata, poichè non capita spesso di poter accaparrarsi un elemento di tale livello. Dopo aver assimilato l’archetipo, il general manager ha concretizzato il tutto grazie ad una sign and trade. L’arrivo di CP3 poteva essere una sorta di bastone fra le ruote per James Harden? Qualcuno se l’è chiesto, facendo leva su dei dubbi in pieno contrasto con la filosofia del coach degli Houston Rockets.
L’ex OKC, la passata stagione, ha ricamato sprazzi di grande basket nelle vesti di point guard: togliere troppo spesso il pallone dalle sue mani, secondo questa teoria, l’avrebbe ‘danneggiato’. Ma D’Antoni aveva ragione. Un backcourt del genere, formato da un play puro ed uno atipico può solo funzionare ,perchè ci sono tutte le peculiarità adatte, in barba (è proprio il caso di dirlo) ai soliti scettici. Questo, almeno, è il riscontro proveniente dal parquet. L’attacco dei Rockets è ancor più oculato e carico di qualità. Gli schemi non sono stati stravolti, anzi, son stati arricchiti, son divenuti più efficienti. Usufruire di due cervelli in grado di sbrogliare la matassa e di fornire costante verve alla manovra è un lusso, data la loro capacità di creare gioco dal nulla o concludere l’azione quando serve. Uno degli espedienti principali utilizzati è il pick and roll: Harden duetta col lungo di turno (Clint Capela, Nene o chi per loro) e spacca al difesa avversaria andando in penetrazione o tentando un jumper, uno step back; l’alternativa è servire il rollante (che attacca con una frequency poco superiore all’8% e porta in dote circa 1 punto per possesso). Ovviamente non mancano gli scarichi sul perimetro, dove appostati ci sono i tiratori pronti a sparare triple a go-go.
In questo frangente Paul se ne sta in disparte, pronto ad intervenire se chiamato in causa. Il numero 3 infatti non ha nessun tipo di problema a colpire nelle vesti di spot up shooter, come di tanto in tanto faceva a Los Angeles. Approssimativamente porta in dote circa 2 punti per possesso con una percentuale di tiro che talvolta tocca il 60%, rendendolo un pericolo pubblico per i marcatori avversari. Di tanto in tanto sfrutta qualche blocco portatogli da un compagno e lavora d’intesa con The Beard per attaccare: se la difesa catalizza l’attenzione su di lui, si rifugia dalla guardia, che può decidere di prendersi un tiro o smazzare un assist. La manovra così è sempre viva ed imprevedibile. Per non parlare dell’eventualità che vede Paul utile nel segnare dal midrange, una delle carenze emerse nei playoff dello scorso anno.
Paul insacca la tripla su assist di Harden, dopo essersi smarcato sfruttando il blocco di Capela.
Allo stesso modo Harden se ne sta buono quando a dirigere le operazioni c’è il suo amichetto. Che fosse letale anche off the ball probabilmente non è una grossa scoperta, se si tiene conto delle sue origini. Non ha difficoltà ad uscire dai blocchi e tirare (sono quasi 3 i punti per possesso messi a referto in tale situazione, rispetto allo 0.85 della passata annata), così come non ha difficoltà a dilettarsi nel catch and shooting. Proprio perchè sa come muoversi e dove piazzarsi per andare a segno. Altro aspetto da evidenziare è che il classe 1989 aggredisce il canestro tagliando su suggerimento del centro presente in quintetto, tendenza conseguente alla fluida e pulita circolazione di palla. Versatile, devastante.
Paul inizia, Harden finisce.
Dividere le mansioni è una faccenda piuttosto semplice. In transizione, è il buon James a premere prevalentemente il piede sull’acceleratore. Con due opzioni possibili: l’azione personale o il passaggio per un compagno, che sia per un backdoor o per un tentativo dall’arco. Diversamente, in situazione di difesa schierata, spesso ci pensa l’eclettico Chris a cercare il varco per l’offensiva, facendo ‘ragionare’ sul da farsi la squadra. Prendendosi all’occorrenza un isolamento e rompere gli indugi. L’impatto di Paul era da preventivare anche per quanto riguarda la difesa, ambito in cui dà sempre la sua onesta mano. La marcatura sull’esterno avversario più pericoloso è asfissiante ed attenta, così come puntuali sono gli intercetti sulle spaziature o i cambi. Stesso discorso, magari meno enfatico, lo si può fare sulla guardia: nella graduatoria delle cosiddette deflection, Harden si trova figura sovente tra i primi posti. Inoltre non perde mai di vista la sua controparte, riservando grande premura; ci mette tanto impegno anche nell’uno contro uno, aiutando sulle penetrazioni. L’affiatamento c’è pure nella propria metà campo.
The Beard alza la concentrazione in situazioni di 1 vs 1, stoppando le velleità avversarie anche a possibili aiuti.
Insomma, il tandem funziona eccome, proprio come le congetture dantoniane hanno sentenziato. L’auspicio del front office texano e dei tifosi è che questo sodalizio, al di là di pensieri, parole e quant’altro, possa portare dei grossi e succosi frutti.