Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti L’altra faccia della medaglia: la svolta difensiva degli Houston Rockets

L’altra faccia della medaglia: la svolta difensiva degli Houston Rockets

di Olivio Daniele Maggio
Houston Rockets

L’altra faccia della medaglia. Gli Houston Rockets praticano un basket sprizzante, estremo in alcuni concetti, quasi visionario. Una fusione tra il canonico ‘Seven Second or Less‘ di Mike D’Antoni e la filosofia Moreyball. Tuttavia, dietro a tutto ciò, bisogna dire che il team texano ha sviluppato un lato pragmatico e rude: difensivamente la squadra ha mostrato solidità per tutta la stagione, cosa rimarcata dalla due vittorie consecutive contro i Golden State Warriors alle Western Conference Finals. La svolta è giunta grazie al lavoro nella propria metà campo, che per ora sta fruttando un preziosissimo vantaggio per 3-2 nella serie.

I successi in gara 4 e in gara 5 son giunti a seguito di punteggi bassi (95-92  e 98-94).

 

NUMERI SIGNIFICATIVI

 

Mike D’Antoni.

Tenere uno dei migliori attacchi di sempre (o probabilmente il migliore) sotto la soglia dei 100 punti, per due partite, è un’ardua impresa. Eppure D’Antoni sembra aver trovato le giuste contromisure dopo la prima parte della serie. Lo si evince da alcuni numeri, abbastanza eloquenti:

 

  • Ultimo quarto di gara 4: 3/18 al tiro per Golden State, 16.7% dal campo. Peggior percentuale dell’anno in un singolo quarto per i californiani, che in questo segmento di gara hanno segnato solo 12 punti e fornito un assist.

 

  • Le ben 16 palle perse dei Warriors in gara 5  alla fine hanno pagato dazio e inceppato troppe volte l’attacco. Stephen Curry, a tal proposito, non è stato messo in ritmo sui tentativi dall’arco (solo 25% per lui).

 

  • I Golden State Warriors, nella serie con gli Houston Rockets, stanno racimolando all’incirca 20 isolamenti a partita, un enorme aumento se confrontato con le serie precedenti (7.3 contro i San Antonio Spurs e 7 contro i New Orleans Pelicans).

 

  • Circa il 50.5% dei canestri infilati dai californiani non sono assistiti: prima della finale di conference ammontavano al 30.4%.

 

  • Gli Houston Rockets contestano 23.8 tiri da 3 di media contro i Warriors, finora fermi al 36.5% dall’arco (circa 10 tiri segnati su quasi 30).

 

  • Il pace dei Warriors alle Western Conference Semifinals si attestata a quota 107.89. Nelle ultime cinque partite è sceso a 97.97 (100.54 totale).

 

 

LE FONDAMENTA DELLA ROCCAFORTE DEGLI HOUSTON ROCKETS

Abnegazione, intensità, pressione. I Rockets hanno praticamente ingranato la marcia in difesa, andando ad aggredire con forza il portatore di palla e stando attenti sui tagli. I giocatori son ben incollati alla rispettiva controparte che, con l’ausilio dei blocchi, cerca di smarcarsi: Houston cambia marcatura in continuazione in questo frangente, ostruendo la manovra e costringendo i Warriors a forzare qualche conclusione. Le letture dei movimenti avversari sul lato debole, per ora, sono azzeccatissime. Fondamentali e puntuali in particolare sono gli switch delle guardie. Così si riesce a giocare d’anticipo e a coprire le linee di passaggio in maniera perfetta. Senza spazi, cala il ritmo dell’attacco degli uomini di Steve Kerr ed aumenta invece il numero di isolamenti; proprio ciò che i campioni NBA non amano fare, dato che così viene limitato il potenziale balistico dei tiratori (Steph Curry su tutti). Lo small ball con Trevor Ariza schierato da centro è utile a tale lavoro, anche se a prescindere le variazioni vengono eseguite sempre.

 

Gli Houston Rockets cambiano più volte gli accoppiamenti difensivi: Klay Thompson attacca Clint Capela e viene stoppato.

 

Gli aiuti nel pitturato stanno contribuendo a chiudere la via verso il canestro ai Warriors. Di conseguenza scelgono di scaricare il pallone sul perimetro: veloci sono i closeout dei difensori biancorossi che, grazie ad una rinnovata comunicazione e tempi ottimizzati, riescono a ruotare per impedire extrapass. Coordinazione, istantaneità. La banda del Baffo intende non concedere tiri puliti, invitando invece gli avversari a prendere triple complicate (o a tentare la gloria nel traffico in area, quando non c’è alternativa).

Chiosa sui singoli. Era nota l’importanza di Clint Capela all’interno della retroguardia texana, importanza confermata dai cambi difensivi retti alla grande e dalla protezione del ferro garantita dalle sue veementi stoppate. Le lunghe leve lo agevolano nella cattura dei rimbalzi e negli intercetti. James Harden in gara 5 ha tirato da 3 con un impietoso 0/11, ma si è dato da fare nelle retrovie facendo soffrire soprattutto Curry, in un mismatch fisico sfavorevole al numero 30; nelle ultime due partite il Barba ha alzato il livello della concentrazione nella single coverage, tanto è vero che ha tenuto a bada Kevin Durant in alcune occasioni. Il vero fattore emergente di sicuro è PJ Tucker. L’ala è energia allo stato puro: si butta a capofitto a rimbalzo offensivo, accetta di difendere su chiunque senza problemi e mettendoci grinta, la sua mano spunta nelle deflection per sporcare ogni passaggio. Onnipresente.

 

Sotto i tabelloni Capela continua a far la voce grossa.

 

Gli Houston Rockets sognano l’upset e l’approdo alle NBA Finals, un traguardo che potrebbe essere raggiunto grazie all’altra faccia della medaglia del loro gioco, una difesa arcigna e agguerrita. Urge che il trend sia costante per il resto della serie. L’infortunio di Chris Paul però potrebbe pesare…

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